È il 1997, Irène e Clara hanno 17 anni e si conoscono perché entrambe ricoverate in una casa di cura oncologica per ragazzi. Terminate le terapie, la clinica organizza una gita al mare per tutti i pazienti. Una volta giunte sul posto, Irène e Clara scappano e così inizia la loro estate insieme, lontana dagli occhi e dalle regole degli adulti.
Favignana, il luogo dove la loro avventura si sviluppa, è il perfetto sfondo per questa storia dolce-amara: un’isola nella quale i giochi di luce – qui nemico assoluto per le complicanze possibili a causa della malattia, ma anche per il rimando alla dimensione simbolica dello scoperchiare, del mettersi in mostra, della verità – e ombra – il posto, invece, sicuro, nel quale è possibile non mostrarsi mai completamente – si mescolano con le due protagoniste, anche loro contrapposte ma complementari. Da un lato c’è Irène (Noée Abita): sicura di sé, consapevole delle forme del proprio corpo, estroversa e ribelle; dall’altro Clara (Maria Camilla Brandenburg): timida, diafana e intimorita. Claro Sironi (qui al suo secondo lungometraggio), nel racconto della loro amicizia, fa una cosa molto interessante: evita il più possibile i campi/controcampi, utilizzando la macchina da presa in modo da inquadrare le due ragazze contemporaneamente per la maggior parte del tempo. La frequente condivisione della scena contribuisce a sottolineare la loro lontananza caratteriale ed estetica risaltandone però l’indissolubile legame. Il risultato è la creazione di un’atmosfera estremamente realistica e di immediata identificazione. La regia di Quell’estate con Irène è una regia sapiente ed elegante che non ha paura di prendersi il tempo necessario per indagare a fondo i volti delle protagoniste, le segue attentamente e si perde insieme a loro in un luogo che prima le culla poi le mette alla prova, le accoglie per poi rivelarsi ostile.
La malattia, se non all’inizio del film, non viene nominata: è un fantasma pesantissimo che incombe prepotente sulle loro lunghe e assolate giornate. La scelta di non trattare direttamente questo tema o, meglio, la scelta di non far parlare le due protagoniste della loro condizione – evitando dialoghi stucchevoli o banalizzazioni dell’argomento – contribuisce alla generale sensazione di delicatezza che avvolge tutto il film. Così facendo, la malattia non passa in secondo piano, piuttosto risulta presente in maniera quasi asfissiante: condivide costantemente la scena insieme a loro proprio perché viene taciuta e nascosta ai personaggi che le circondano. Sironi inquadra esclusivamente ragazzi, nel mondo di Quell’estate con Irène, gli adulti non esistono: nella clinica sentiamo le voci dei loro medici ma non li vediamo mai; sull’isola, invece, sembra proprio non ve ne sia traccia. La presenza di adulti nella loro speciale vacanza avrebbe riportato le ragazze alla realtà che con fatica stavano provando a ignorare, contribuendo a rendere impossibile quel clima di genuina serenità che ogni tanto riuscivano a vivere.
La sensazione che lascia Quell’estate con Irène è la tipica malinconia adolescenziale che accompagna quei legami sinceri e profondi spesso destinati a finire come le calde e lente giornate d’estate. Le due amiche non hanno bisogno di parlare dell’elefante nella stanza per capirsi: la fuga di quei giorni è una fuga da tutto ma soprattutto dalla stessa malattia che, purtroppo, è più forte di loro e non tarda a ricordare, sia alle protagoniste che agli spettatori, che probabilmente sarà proprio lei ad avere la meglio. Il regista, a seguito dell’anteprima nazionale al 42esimo Bellaria Film Festival, ha precisato l’importanza della canzone che accompagna i titoli di coda, To Wish Impossible Things dei The Cure, e ha raccontato come si sia immaginato questo film proprio a partire dalle parole di Robert Smith: Remember how it used to be / When the sun would fill up the sky / Remember how we used to feel / Those days would never end (Ricordi come era / quando il sole avrebbe potuto riempire il cielo / Ricordi come ci sentivamo / quei giorni non sarebbero mai finiti). Ed è esattamente questa sensazione di spensieratezza, ma allo stesso tempo di leggera amarezza, a portarsi con sé ogni estate, ogni bella amicizia destinata a finire a causa di qualcosa di più grande degli esseri umani. Sironi costruisce un coming of age delicatissimo dai toni caldi, caratteristici di quel cinema d’autore dal gusto tipicamente francese che si serve della malinconia della fine dell’estate e dei paesaggi marittimi per inscenare i suoi personaggi. Durante la visione è impossibile non ricordare titoli come Bonjour Tristesse di Otto Preminger, ma anche autori come il Rohmer de Il raggio verde o di Un ragazzo, tre ragazze.
Quell’estate con Irène, presentato in anteprima mondiale al 74esimo Festival di Berlino e in anteprima nazionale al 42esimo Festival di Bellaria, verrà distribuito da Fandango nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 30 maggio.
Clara: “Comunque oggi ha piovuto quindi domani sarà bello”
Irène: “Non è così facile”
Clara: “Più o meno sì”
Gaia Antonini
Quell’estate con Irène
Regia: Carlo Sironi. Sceneggiatura: Carlo Sironi, Silvana Tamma. Fotografia: Gergely Poharnok. Montaggio: Chiara Dainese. Musiche: Lionel Boutang. Interpreti: Noée Abita, Camilla Brandeburg, Claudio Segaluscio, Gabriele Rollo. Origine: Italia e Francia, 2024. Durata: 90′.