Senza preamboli, detto con emozione: se Quando c’era Marnie dovesse essere davvero l’ultimo film licenziato dallo Studio Ghibli, allora il mondo diventerebbe un po’ più grigio già domani, perché inizieremmo a sentire l’assenza di una fucina di idee che è diventata una indispensabile fonte di poesia, un accesso, come pochi ce ne sono, ad un universo creativo che si è fatto portavoce di una pensiero profondo sulla natura degli uomini e sulla relazione tra questi e le altre creature del pianeta, che è entità viva, sensibile, sofferente. Ghibli, orfano delle due anime Hayao Miyazachi e Isao Takahata, padri e maestri fondatori – come racconta Mami Sunada in Il regno dei sogni e della follia -, è riuscito nell’impresa di creare film indimenticabili, raccontando ai bambini e agli adulti storie fantastiche che hanno ridefinito il senso della magia, fuori dai canoni Disney, senza mai dubitare dell’efficacia dell’animazione classica, nonostante Pixar e Dreamworks proponessero modelli differenti e certamente più al passo coi tempi. Da La città incantata in poi, gli autori Ghibli sono arrivati nei cinema con costanza: nuove produzioni e le riedizioni dei film precedenti di Miyazachi, che hanno definito il significato del Ghibli-Style attraverso eroi ed eroine dai tratti familiari, impegnati in vicende dai temi universali, a volte di matrice europea, a dimostrare quanto la fantasia non tema i confini culturali. Film come le fiabe da leggere prima del sonno. Anche La collina dei papaveri e Si alza il vento, che pure hanno legami con la storia recente del paese nipponico.
Quando c’era Marnie, primo anime in cui i due maestri sono totalmente assenti, non può che tradire orgogliosamente questa appartenenza. Hiromasa Yonebayashi, già regista di Arriety – Il mondo segreto sotto il pavimento, pur non avendo più alla sceneggiatura Miyazachi, se la cava egregiamente nel difficile compito di trasporre il caposaldo della letteratura inglese per l’infanzia firmato dalla scrittrice Joan G. Robinson. L’autore “traduce” la storia di Anna, dodicenne asmatica con problemi di socializzazione e cresciuta con genitori adottivi, a Hokkaido, cittadina di mare, senza tradire però le atmosfere a tratti gotiche di un racconto che confonde realtà, immaginazione e regno dei fantasmi. La protagonista infatti, isolata e in piena crisi di identità pre-adolescenziale, la cui relazione con il mondo passa attraverso un album di schizzi, trova conforto in un’amica, Marnie, materializzatasi dal nulla nei pressi di una villa fatiscente. Altrettanto segnata da un dolore di cui si percepisce l’origine solo verso la fine del film, Marnie sembra avere un’empatia naturale nei confronti di Anna. Se le straordinarie esperienze che vivono insieme permettono ad Anna di scoprire il piacere dell’amicizia, al tempo stesso infittiscono il mistero sull’identità di Marnie. Quando sono insieme la vecchia villa si rianima, i suoi abitanti ricordano i frequentatori dell’Overlook Hotel in Shining, l’evidente salto temporale pare generato da un sogno. Il concatenarsi di eventi che porteranno alla sorprendente soluzione finale è costruito da Yonebayashi con pazienza e attenzione ai dettagli, cui concorrono i disegni, soprattutto i fondali e gli oggetti inanimati, toccati da una luce sempre diversa e per nulla casuale, e le musiche di Takatsugu Muramatsu.
Anna è personaggio tra i più complessi mai disegnati dalle matite dello Studio Ghibli, intendiamoci, sempre parente di Chihiro, Sheeta, Arrietty, ma più afferente ad un contesto dove lo “straordinario” non è nella natura di un mondo fantastico e possibile, ma nella magia tutta interna alla protagonista, generata da una psiche triste e in fuga, ma non per questo rassegnata. I turbamenti di Anna, e dopo le angosce di Marnie, attraversano un caleidoscopio emozionale che conduce lo spettatore (soprattutto adulto) nel privato di una relazione che pare addirittura saffica e che invece, a sorpresa, si rivelerà fondativa nella costruzione del sé di Anna e del suo essere adulto, trasformando la bambina che nell’incipit affermava che “in questo mondo c’è un cerchio magico invisibile agli occhi altrui. Esso ha un dentro e un fuori. Io sono nel fuori. Ma non importa, perché io mi detesto”.
Vera Mandusich
Quando c’era Marnie
Regia: Hiromasa Yonebayashi. Sceneggiatura: Keiko Niwa, Masashi Ando, Hiromasa Yonebayashi. Scenografie: Yohei Taneda. Musica: Takatsugu Muramatsu. Origine: Giappone, 2014. Durata: 103′.