Quando sento la parola Pride, subito nella mia testa si forma in modo naturale l’espressione in the name of love, è un riflesso condizionato, come certe parole che ormai richiamano alcuni slogan degli spot che si sono sedimentati e sono irreversibilmente incollati alla memoria. Quella parola e la frase (rigorosamente fra parentesi) costituivano il titolo di un’epica canzone degli U2 dei tempi d’oro, edita nell’84, quando tutto era più vero e più sincero e c’era qualcosa da combattere e qualcosa da vincere. C’era per esempio una signora che governava una Nazione orgogliosa della sua civiltà, che per la prima volta nella storia dell’occidente provava a far pagare ai lavoratori con botte, lacrime, povertà e disperazione, i costi della modernizzazione neoliberista dell’economia, quella che avrebbe preparato l’oggi.
Proprio durante lo storico sciopero che contrappose i minatori al governo inglese, in piena era thatcheriana, è ambientata questa bella commedia di Matthew Warchus (regia) e di Stephen Bereford (sceneggiatura) che del respiro di quei primi anni ottanta ci restituisce tutta la freschezza, tutta la forza ideale e valoriale, rischiando a tratti di risultare retorico e gentilmente manicheo, ma con il gran pregio di glorificare a dovere le vicende di uomini e donne che la storia aveva lasciato in un angolino, e che questo film riporta almeno per due ore alla ribalta, divertendoci e emozionandoci.
Una storia da film, una bella invenzione dello sceneggiatore si direbbe, se la storia non fosse, al contrario, vera: un microscopico gruppo di attivisti del movimento gay-lesbo spinti dalla solidarietà verso i minatori in lotta, decidono di raccogliere fondi per sostenere gli scioperanti di un paesino del Galles. L’iniziativa, carica di intuizioni politiche rivoluzionarie e di entusiasmo giovanile, funziona, ma viene accolta dai minatori con freddezza, perché considerata imbarazzante. Sono anni in cui essere parte della comunità LGBT è semplicemente scandaloso, qualcosa da nascondere e non confessare mai; i gay sono trattati da pervertiti, e sta per toccare l’apice l’epidemia di AIDS che condanna a morte comportamenti “non conformi” alla società tradizionale, a da ragione ai perbenisti, almeno per qualche anno. I minatori non sono esentati da questa folla di pregiudizi, ma la solidarietà vera è una forza incontenibile, un collante capace di unire mondi apparentemente incompatibili.
Fra le due comunità scoppierà un amore e un rispetto capace di resistere al tempo e alle sconfitte. E questo film è la storia di questo amore fra due comunità e dunque un racconto corale, delicato e attento alle sfumature umane, ai personaggi minori, con un bel numero di battute fulminanti che valorizzano un ritmo sempre alto fra situazioni comiche e melò, che a tratti si fa malinconico. Soprattutto quando arriva la sconfitta e si affaccia l’incubo della catastrofe, ma senza mai abbassare la testa, che rimane invece alta e guarda lontano, con orgoglio, con Pride, per quel futuro dei diritti civili e della dignità del lavoro, che in epoche come la nostra è ancora tutto da costruire, forse anche di più, ma in cui è bello credere, commossi.
Sebbene il gioco con certi stereotipi sessisti (il minatore che non sa ballare, la beghina intollerante, ecc.) sia inevitabile e inevitato, lo si perdona presto, grazie alla scoppiettante selva di occasioni di sorpresa e di risate, di personaggi ben scritti e ottimamente recitati da un gruppo di attori eccezionali a partire da Bill Nighy e Imelda Staunton, per citare i più anziani, che sembrano capaci di toccare tutte le corde e con grazia. Un plauso va alla regia semplice e rigorosa, che senza vezzi di stile, conduce con mano sicura la macchina cinematografica, e si mostra capace di citare lo stile di ripresa degli anni ottanta, ma senza farcene sentire il peso, attenta ai dettagli come alle scelte musicali, o ai costumi, restituendo bene le atmosfere del periodo, senza perdersi in pedanterie filologiche.
Un’ottima commedia, onesta e non banale, come se ne vedono poche.
Massimo Donati
Pride
Regia: Matthew Warchus. Sceneggiatura: Stephen Bereford. Fotografia: Tat Radcliffe. Montaggio: Melanie Oliver. Interpreti: Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine. Origine: GB, 2014. Durata: 120′.