Ci spostiamo da Berlino a Tokyo, uno sguardo dal cielo, come quello di un angelo, segue un piccolo furgoncino blu dalle forme squadrate sfrecciare per le strade sopraelevate e intricate della megalopoli. Al suo interno un signore giapponese di mezza età si sta recando al suo lavoro di addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Shibuya sulle note di House of the rising sun dei The Animals. Siamo di fronte al nuovo film di Wim Wenders, Perfect Days, e per Hirayama (Kōji Yakusho, miglior attore al festival di Cannes) si prospetta una giornata perfetta nella sua ordinarietà.
Casa, lavoro, un salto al Sentō per il rituale del bagno per poi chiudere la giornata a un bar della metro, si spengono le luci e ancora tutto da capo. Quella di Hirayama è una routine perfetta. Nella sue giornate non manca però lo spazio per gioire delle piccole cose: il sorriso di un bambino, il gioco di luci e ombre delle chiome degli alberi a cui ruba uno scatto, l’amore nell’innaffiare le piantine del suo appartamento o, ancora, il gusto delle parole di un libro appena comprato nella piccola libreria di quartiere. L’abitudinarietà di ques’uomo è anche arricchita da incontri o eventi inaspettati: un foglietto nascosto sul retro di un lavabo diventa l’opportunità per iniziare una partita di tris con uno sconosciuto; il supporto del giovane apprendista nelle sue avventure amorose lo condurrà in un negozio di amatori di audiocassette e gli farà guadagnare un bacio del tutto imprevisto; e la visita improvvisa della giovane nipotina Niko lo porterà a dormire nel ripostiglio e ad essere accompagnato nelle sue lunghe giornate lavorative da un nuovo piccolo assistente. Eppure quest’uomo dalla vita semplice e modesta, che può sembrare ai più noiosa e priva di fascino, dedito anima e corpo al suo umile lavoro, trasmette costantemente una calma e una serenità profonda. Questo fino a quando la tranquillità della sua routine quotidiana non è spezzata dall’incontro con la sorella venuta a reclamare la figlia (Niko) scappata di casa. I due, si avverte fin da subito dalle poche parole scambiate e dalla distanza di sicurezza che assumono i loro corpi, appartengono a mondi distanti che a stento possono mettersi in connessione. Lei è in procinto di ripartire con la figlia su una macchina di lusso dov’è attesa dall’autista privato mentre lui di tornare nella sua povera dimora di periferia in totale solitudine. Ma un abbraccio inaspettato rompe il muro emozionale tra i due ed ecco che per la prima volta vediamo le lacrime di Hirayama scorrere sul suo volto. Un pianto di sblocco profondo, singhiozzi liberatori rompono il silenzio, sintomo di una distanza forzata quanto sofferta. Le giornate successive non saranno più le stesse per il nostro protagonista, il suo volto si fa cupo ed enigmatico, i movimenti sono bruschi e agitati. La notizia inaspettata del licenziamento del suo giovane “allievo”, non fa che perggiorare la situazione, costringendolo a svolgere il turno da solo e tornare a casa a notte tarda. Anche la ritualità domenicale viene infranta: non c’è abbastanza pazienza per dedicarsi allo spoglio degli scatti fotografici settimanali appena ritirati dallo stampatore e la cena nel locale abitudinario viene a saltare per il sospetto straziante che la cameriera per cui ha un debole frequenti un altro uomo. Sulle sponde del Samida, fiume che attraversa la città, lo vediamo in un atteggiamento autodistruttivo inedito: solo e afflitto, tossisce sonoramente al tiro di una sigaretta tracannando birra in lattina appena comprata al supermercato. Lo osserviamo a distanza, ma con vicinanza fraterna, in tutta la sua vulnerabilità di uomo ferito e disorientato dalla caduta delle sue certezze quotidiane. La vita sta colpendo duro ma tutto è in perpetuo cambiamento e anche le emozioni più difficili da affrontare presto si riveleranno per quello che sono: una nube scura di passaggio dietro al quale è sempre presente il sole pronto a tornare a splendere. Ed ecco che dal nulla arriva una proposta spiazzante: giochiamo a calpestarci le ombre? Proprio quelle ombre che tanto affascinano il suo sguardo e che lo accompagnano nelle sue avventure quotidiane fatte di attimi unici e fuggevoli, come le “Komorebi”, di cui fa cenno una didascalia post titoli di coda, termine giapponese per indicare le luci e le ombre create dalle foglie che ondeggiano al vento. Perché Hirayama vive in un suo mondo tutto speciale, dove il nutrimento più grande è scovare lo straordinario nell’ordinario, incarnare quel “qui e ora” fulcro di ogni filosofia orientale. Non vi ricorda qualcuno? L’Hirayama di Wim Wenders ha un alter ego statunitense: il Paterson autista-poeta di Jim Jarmusch. E come una sorta di crossover anche qui la fiamma della speranza rinasce grazie a un incontro inaspettato, guarda caso un signore giapponese che irrompe nella scena. Il suo è un dono celeste, come un angelo viene a portare un messaggio di gioia per il cuore di Hiryama. L’apparente tragedia si traforma quindi in un’opportunità per ripartire un po’ più consapevoli e più forti di prima.
Buio, luci e ombre sullo schermo si alternato, figure non distinguibili si sovrappongono, un’altra notte è passata. Un piccolo furgoncino blu dalle forme squadrate sfreccia per le strade sopraelevate e intricate di Tokyo ma qualcosa è cambiato. Un toccante pianto di gioia si staglia su un primissimo piano di Hirayama. Lo vediamo stupito e allegro nella grande consapevolezza che “it’s a new day, it’s a new life for me, and I’m feeling good”. E come le ombre mutano al cambiare della luce, così le emozioni si trasformano sollecitate dagli eventi esterni. Anche dentro di me qualcosa è cambiato. Mi ascolto. Sento rieccheggiare vivacemente la massima: “Un’altra volta è un’altra volta, mentre adesso è adesso.”
Samuele P. Perrotta
Perfect Days
Regia: Wim Wenders. Sceneggiatura: Wim Wenders, Takuma Takasaki. Fotografia: Franz Lustig. Montaggio: Toni Froschhammer. Interpreti: Kōji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Min Tanaka. Origine: Giappone e Germania, 2023. Durata: 123’.