Passano sempre meno inosservati in sala i film restaurati. Anche in provincia, i pochi cineclub che riescono ad arricchire la programmazione con proposte diverse, attenti ai gusti di un pubblico esigente (non per forza cinefilo), dedicano spazio ai classici del cinema, splendidi nelle versioni “ripulite”.
Ma cosa significa restaurare un film? Quali le prassi seguite? Quali i criteri? E poi quali film e, soprattutto, perché restaurare, investire capitali – spesso pubblici – in operazioni a volte controverse? A queste domande tenta di rispondere il volume di Stella Dagna, che si occupa di restauro e valorizzazione del cinema muto italiano presso la Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Perché restaurare i film? è un testo di assoluto valore per gli amanti del cinema, perché tratta con semplicità un argomento complesso, non solo dal punto di vista tecnico – che risulterebbe alquanto ostico – ma soprattutto affrontando con schiettezza problemi quali la politica culturale, il valore estetico di un’opera d’arte, le difficoltà di un lavoro filologico sull’opera (quanto mai complicato di fronte ai film dell’epoca del muto), l’eticità di operazioni molto costose. L’autrice porta esempi concreti di operazioni di restauro che non hanno trovato unanimi consensi, come ad esempio quello attuato su Viaggio nella luna di Méliès, partendo da una versione spagnola colorata. E pone pure interrogativi per nulla banali sulla qualità dei restauri, che dovrebbero tenere conto di una serie di fattori quali le diverse versioni con cui è stato distribuito un film (diverse spesso da paese a paese, tagliate magari dalla censura, rimontate poi su indicazioni postume di un regista).
Dopo aver fissato le coordinate del restauro di un film, premurandosi di fornire al lettore un minimo di orientamento in un mondo insospettabilmente variegato, definendo la natura della pellicola, le evoluzioni tecniche fino ai giorni nostri, i problemi relativi alla conservazione sia in analogico che in digitale, Stella Dagna si inoltra nell’affascinante tema del rapporto tra uomo e tempo, senza chiamare in causa apparati filosofici, ma domandandosi cosa significhi salvaguardare la memoria di un’opera d’arte. Il libro si trasforma così in una riflessione necessaria sul bisogno di riconoscersi – radici e identità – anche attraverso l’arte e le forme di racconto. Il cinema prima di tutto: così fragile nei supporti (la pellicola soggetta a colliquazione, ma anche le “volatili” informazioni digitali) e quindi sfuggente, un patrimonio non facile da archiviare e preservare. Di fronte a una produzione vastissima dunque, il problema si sdoppia: da una parte i film in pellicola, soprattutto quelli prodotti da fine ‘800 all’avvento del sonoro; in secondo luogo lo spauracchio della corruzione dei file che minaccia le opere in digitale. Se è vero che il riversamento in pellicola è ad oggi il modo migliore per custodire un film (ben più di un secolo in condizioni climatiche ottimali), come bisognerebbe selezionare i film da lasciare ai posteri? E poi, nel caso dei film muti, che tipo di intervento andrebbe fatto sulla copia da restaurare prima del definitivo film recording su nuova pellicola? Fortunatamente l’autrice riesce a fornire risposte argomentate, convincenti, rassicurando (quasi) i cinefili e offrendo a lettori semplicemente appassionati del cinema di qualità indicazioni utili per districarsi tra le tante versioni – spesso scadenti – di vecchi film nascosti nelle buie caverne del web o custoditi nelle ricche cineteche italiane ed estere.
Chiude il libro un indispensabile glossario e una ricca bibliografia.
Consigliatissimo!
Alessandro Leone
Perché restaurare i film?
Stella Dagna,
Edizioni ETS, 2014.
192 pagine – € 18,00