Lo studio del cinema, sia questo in forma amatoriale che in forma accademica, suppone la necessità di addentrarsi nelle opere seguendo tre grandi direttive: l’apprezzamento estetico, l’analisi del significato, e il valore storico. Di questi tre pilastri principali su cui si basa ogni lettura critica profonda, quelli che meno problemi comportano sono il primo e il terzo; in effetti, lo studio della struttura di un film è di certo la sfera di analisi meno problematica, mentre l’importanza di un prodotto nella storia del cinema riesce a lavorare su tali e tanti livelli da risultare per forza di cose una questione complessa. Un’opera d’arte, in altre parole, può essere facilmente sviscerata nella sua struttura come anche nella sua importanza vuoi per la storia di quella espressione artistica generale, vuoi per quella del sottogenere a cui si riferisce. Diversa, invece, è la questione del significato.
Tale questione, infatti, si complica per la doppia lettura che risulta necessario fare: da una parte cosa quel prodotto significhi di per sé, dall’altra cosa implichi nel contesto culturale di creazione. Porsi davanti a un prodotto e cercarne di capire il senso ci pone allora nella situazione di portare allo scoperto ciò che l’autore (o gli autori) hanno voluto dire all’interno di quello che è o era l’ambiente di produzione. Buttata fuori dalla finestra l’idea che un’opera non abbia mai un senso definito, ma debba cambiarlo con il passare del tempo e con il cambio del momento di fruizione, il compito di chi analizza un’opera è quello di dire esattamente cosa quell’opera dice (idea, questa, che ricorda come Harlan Ellison avesse a suo tempo castigato le letture erronee dei suoi racconti brevi di fantascienza).
Se dovessimo pensare che ogni opera sia aperta a qualsiasi interpretazione, dovremmo infatti giustificare le assurdità di Charles Manson nel momento in cui affermava che i Beatles, in una loro canzone, spingevano alla guerra tra razze. Le opere non sono né devono essere aperte a qualsiasi tipo di lettura, ma devono invece essere analizzate in maniera profonda per capire cosa esattamente vogliano dire. Il fatto che possano esistere letture diverse spesso non è cosa dovuta alla poliedricità dell’opera in senso interpretativo, quanto al fatto che qualcuno ha torto e qualcuno ha ragione. Le opere di loro natura non sono quindi mai (del tutto) aperte, mentre sì può essere aperto l’uso che ne si fa in sede di ricreazione, di rimodellamento, ossia di sviluppo in un contesto differente. I remake di film stranieri e non per il mercato americano, ad esempio, non sono nulla di problematico in un’ottica artistica (lo possono essere, invece, da un punto di vista di purismo e di attaccamento all’originale), come lo dimostra Cronenberg con il suo La mosca (The Fly, 1986).
Problematico invece è il dover entrare nella sfera del giudizio del senso di un film che si presenta da subito come inaccettabile. Il nodo cruciale, quindi, sarebbe quello del dover rendersi conto che quel senso, quel significato, sono di loro natura da rifiutare proprio perché incapaci di una onestà intellettuale, critica, culturale ed etica. Film come Nascita di una nazione di David W. Griffith (The Birth of a Nation, 1915, con un Klan che si sbarazza degli schiavi afroamericani), Il trionfo della volontà (Triumph des Willens, 1935, dove la Riefenstahl sacralizza il nazismo hitleriano) o Raza (1942, scritto, si dice, da Francisco Franco) non possono certamente essere letti senza che si metta in gioco la loro ideologia e il loro valore propagandistico. Il giudizio finale che se ne dà, quindi, può essere visto come scevro da implicazioni di carattere culturale, o ci troviamo a essere condannati a dover esporre anche un sentimento etico di disgusto?
Dare un giudizio del tipo appena esposto è corretto e giustificato dal fatto che l’opera stessa ci sta mentendo. Non si rifiuta Griffith perché mette a confronto dei neri con dei bianchi, ma perché la situazione che crea è falsa: il Klan non è un’associazione di difensori delle donne impaurite, ma una struttura di carattere simil-mafioso che si arroga il diritto di decidere della vita o della morte di persone dal colore della pelle diverso. Nessuno, allo stesso modo, rinnega la Riefenstahl perché il suo documentario elogia il nazismo, quanto perché tale elogio nasconde le problematiche legate a quella ideologia politica, rendendo (come si era scritto) sacro ciò che sacro non può essere. Raza non funziona, infine, perché quello che mette in scena non è la verità dei fatti, ma una presa di posizione del tutto viziata, fatta con il solo fine di consacrare una parte politica e di dipingerla come l’unica salvezza del trittico “dios, patria y familia”.
Ne consegue quindi che queste opere vanno rifiutate in toto, censurate e bandite? Ovviamente no, per il fatto che sussistono gli altri due punti su cui si basa una lettura critica. Griffith e Rifenstahl vanno salvati e studiati perché le loro opere, da un punto di vista della struttura tecnica (sia quella visiva sia quella di fabula e intreccio), arrivano a dei veri e propri livelli di perfezione, esattamente come sono da salvare perché parte della storia del cinema per le loro qualità e per ciò che hanno prodotto da un punto di vista di influenza. Stesso discorso per Raza, che se strutturalmente non funziona, va comunque salvato all’interno della sottocategoria storica dei film di propaganda (da vedere, quindi, per il suo valore sia in quella storia che nella storia vera e propria).
La critica verso il significato di un film, allora, risulta giusta all’interno di due direttive: quella generale, ossia la necessità di controllare che quanto ci viene detto sia reale e non falso o propagandistico, e quello personale, da ritenere questo necessario solo per la scelta da farsi davanti alla possibilità o meno di rivedere (o anche solo vedere per la prima volta, se ci basiamo sui giudizi di persone di cui ci fidiamo) un’opera. Una lettura della politica inerente a un film, quindi, è corretta, mentre scorretta può essere la lettura politicizzata dell’opera, lettura che parte da un pregiudizio già esistente (io sono contro il razzismo quindi Nascita di una nazione è da proibire o bocciare a priori). Sono quindi queste le difficoltà inerenti la critica artistica, il dover esprimere un giudizio che abbraccia spesso sia la parte estetica e storica che quella del significato, arrivando perciò a proporre problematiche di lettura che potrebbero viziare il risultato finale. Dimostrazione, allora, della difficoltà della critica artistica stessa, e di come spesso sia difficile separare le letture corrette da quelle invece dettate da ideologie di cui a volte non ci rendiamo conto di far parte. L’imparzialità e la lettura del reale non è certo qualcosa facile da raggiungere.
Guido Negretti