È Hair Love (USA, 2019, regia di Bruce W. Smith, Matthew A. Cherry e Everett Downing Jr.) ad aggiudicarsi l’ambita statuetta. Finanziato nel 2017 attraverso una campagna crowdfounding su Kickstarter, il cortometraggio è stato distribuito da Sony, che ne ha acquisito i diritti lo scorso anno. La pellicola vede una bambina alle prese con un padre inizialmente incapace di occuparsi della propria acconciatura, poiché la madre è gravemente malata. Ma è la vistosa chioma della bambina a essere la vera protagonista: il caos in cui i suoi capelli versano è 
risolto solamente dai continui sforzi del papà, che pazientemente, tramite un filmato della moglie, riesce a venire a capo della situazione. Nel finale vediamo la famiglia ricongiungersi felicemente, e i capelli tornano protagonisti: la madre infatti esibisce la propria calvizie alla figlia. Il corto si conclude mostrando la nuova complicità che si è venuta a creare tra genitori.
Uno sguardo agli altri film che si sono contesi l’Oscar. Tra i candidati spicca per storia e realizzazione il francese Mémorable (scritto e diretto da Bruno Collet), in cui un anziano signore si ritrova a perdere passo dopo passo la propria memoria. Degno di nota per lo sperimentalismo realizzativo è il ceco Daughter (Dcera in originale, regia di Daria Kashcheeva), che mostra per immagini suggestive le difficoltà che intercorrono nel rapporto di un padre con la propria figlia; la sua estrema oscurità potrebbe tuttavia renderlo indigesto a molti. La Pixar si conferma invece con Kitbull (2019, regia di Rosana Sullivan): la storia dell’incontro-scontro tra un cane e un minuto felino. Infine, Sister di Siqi Song, una coproduzione americana e cinese, attua una critica alla politica del figlio unico, attiva in Cina fino al 2013: la pellicola mostra un uomo che riflette sull’aborto compiuto dalla propria madre negli anni ‘90 e sulle possibili conseguenze che l’esistenza di una sorella avrebbe potuto comportare alla sua vita.
Enrico Tirelli
