Quando parlavano di confini, fossero essi geografici o culturali, i romani utilizzavano un termine bellissimo, limes. Ce n’erano due, nell’antichità, entrambi fluviali, il Reno e il Danubio, oltre i quali si estendeva la barbaritas e tutto ciò che, semplificando, non utilizzava il latino come forma privilegiata di espressione. Ecco, per il cinema è un po’ lo stesso, c’è un limes, più o meno corrispondente all’arco alpino, dietro le cui creste si nasconde quello che la distribuzione non distribuisce. E non stiamo parlando di poca cosa, ma di un universo barbaro, nel senso etimologico, cioè che parla un’altra lingua o una lingua altra, e che proprio per questo è spesso deliberatamente confinato. Noi crediamo però che il cinema non abbia frontiere, e che quindi la barbaritas sia un imprescindibile luogo di visione (e per i cinefili “veterotestamentari”, anche di discussione). È per questo che nei prossimi giorni sarà attivata la rubrica “Oltreconfine”, uno spazio dedicato alle pellicole inedite, costrette a vivere una condizione di rumorosa clandestinità. Nella speranza che lo spettatore si abitui a vedere il mondo oltre le luci abbaglianti della sala.
Marco Marchetti