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No – I giorni dell’arcobaleno

coverIl fine giustifica i mezzi. Può essere letto anche, con molte semplificazioni, come una lezione di machiavellismo No di Pablo Larrain. Il film del regista cileno, noto per Tony Manero e Post mortem (ma già autore di Fuga nel 2006), approda finalmente in Italia dopo 12 mesi di successi in tutto il mondo, con il sottotitolo I giorni dell’arcobaleno. Dagli applausi e le recensioni quasi unanimemente entusiaste della Quinzaine a Cannes, al Festival di Locarno, a quello di Torino e molti altri, fino alla nomination all’Oscar quale miglior film straniero. Tutti riconoscimenti più che meritati: No è senza dubbio uno dei più bei film visti lo scorso anno nei festival. Un’opera d’autore, girata con un formato video superato (l’U-matic, in uso tra gli anni ’80 e i primi ’90), su un fatto quasi dimenticato accaduto 25 anni fa in fondo al mondo, in Cile. Eppure è un lungometraggio universale, appassionante, non commerciale certo, ma fruibile a chiunque voglia dedicargli poco meno di due ore di attenzione. Un film sulla democrazia che riguarda tutti, sempre. Sui valori della democrazia, sul bisogno di mantenerla viva e, almeno a un primo livello di lettura, le modalità per restaurarla. E sul consenso, che cosa è, come lo si raggiunge: come si fa un’opera di convincimento in una società moderna, con i mezzi di comunicazione esistenti. In democrazia vince la maggioranza e per superare la metà più uno dei votanti bisogna aggregare istanze diverse, nonché raggiungere e convincere i distaccati e pure i disillusi. Operazione ancor più delicata in un contesto dove regna la paura e le persone si sono allontanate dalla politica.
Siamo in Cile nel 1988. La dittatura di Augusto Pinochet dura da 15 anni, dopo il golpe che portò alla morte di Salvador Allende, pare incrollabile. All’improvviso, per rinnovare il mandato della consultazione dell’80 e sotto le pressioni americane, Pinochet indice un referendum per il 5 ottobre: i cileni sono chiamati a scegliere se riconfermare il generale come capo dello Stato per altri otto anni oppure no.
no_-_i_giorni_dell_arcobaleno_3Il film, tratto dal testo teatrale “El plebiscito” di Antonio Skarmeta (che l’ha poi trasformato nel romanzo “I giorni dell’arcobaleno” appena pubblicato da Einaudi) si apre nel bel mezzo di una riunione di pubblicitari per valutare la promozione di una bibita gassata. René Saavedra (interpretato da Gael Garcia Bernal, mentre la persona che l’ha ispirato si chiama Eugenio Garcia), che alle spalle ha un lungo soggiorno in Messico, sta mostrando uno spot di un celebre marchio e spiega come adattare slogan e tecniche di comunicazione al Cile che sta cambiando, quando viene chiamato all’improvviso per una visita. È Urrutia, suo vecchio amico, rappresentante dell’opposizione al regime che lo contatta per coinvolgerlo nella campagna referendaria. Lo rivedrà nei giorni seguenti e si lascerà tirar dentro un’impresa che pare impossibile, contro una propaganda martellante; intanto dai colleghi è etichettato subito come l’amico del “comunista”.
Per la campagna elettorale ci sono 27 giorni e l’opposizione dispone di 15 minuti giornalieri sulla televisione nazionale. Il pubblicitario partecipa a una riunione dell’opposizione, nella quale gli vengono fatte vedere le immagini dei primi spot, fatti con l’intento solito di denunciare la repressione e i soprusi della dittatura. La sua reazione immediata, scandalizzando gli altri attivisti, è che “non vendono”. René sostiene che bisogna regalare speranza, colori, convincere i cileni a superare la paura, parlare di felicità e libertà. E si mette all’opera: realizza dei filmati con le stesse tecniche e linguaggi delle réclame pubblicitarie; sostituisce il rosso con l’arcobaleno come colore simbolo; usa musiche semplici, orecchiabili, con il tormentone “Chile, la alegria ya viene!” (Cile, la felicità sta arrivando) e un video alla “We Are The World”. E coglie nel segno. I cileni reagiscono, gli spot hanno successo, tanto che sono gli avversari (per i quali lavora Guzman, che sarebbe il capo di Saavedra nell’agenzia) a doverli inseguire sullo stesso terreno.
Nel frattempo ci sono le intimidazioni e le minacce, l’intrusione di notte nella casa di Saavedra, un agente che lo colpisceno-pablo-larrain-gael-garcia-bernal-586x411 durante la manifestazione conclusiva, telefonate anonime, tanti segnali di costante pericolo.
Per il NO arrivano negli ultimi giorni anche gli appelli televisivi delle star Christopher Reeve, Jane Fonda e Richard Dreyfuss. Al momento del voto si vivono ancora momenti di incertezza e preoccupazione, ma gli oppositori, è storia, vincono.
Saavedra, di origine messicana, sfugge agli schemi e alle logiche, è difficile da etichettare con la sua autenticità. Non è (o non è più) un militante usuale, non viene riconosciuto dai compagni di lotta, nello stesso tempo è lontanissimo dagli altri pubblicitari, imbevuti di slogan iper-liberisti e perfettamente aderenti alle idee che stanno alla base degli spot.  L’interpretazione improntata al basso profilo, ma allo stesso tempo energica e determinata, che ne dà Garcia Bernal è perfetta. Alla fine il protagonista resta solo mentre gli altri festeggiano, e se ne va di nuovo per strada con lo skate per tornare a lavorare ai vecchi spot. Il finale è spiazzante, non  liberatorio, ma lascia inquietudine, sottolinea tutta l’ambiguità dell’operazione.
Nella parte di Guzman c’è Alfredo Castro, attore preferito da Larrain che già gli aveva assegnato le parti principali in Tony Manero e Post Mortem. Il terzo capitolo della trilogia è meno lineare dei precedenti su quel periodo di storia cilena, meno cupo, meno metaforico, meno emotivo e più sfuggente, quasi ambiguo.
Girato in video (in modo da inserire immagini di repertorio quasi senza che lo spettatore se ne accorga), e spesso in con bimbocontroluce, ha inquadrature con poca profondità di campo e poco contrasto. Da una parte riuscendo a dare il soffocamento della situazione, dall’altra rendendo i confini labili tra una posizione e l’altra, forte contrapposizione ma anche vicinanza di persone e di mezzi e linguaggi usati. È anche una storia nervosa, in perenne movimento, sempre sul confine tra paura e speranza.
No è un film che parla poco di Pinochet, che esplora poco i territori della politica che siamo abituati a immaginare, ma è più profondo, va alla radice, è pre-politico. Parla del ruolo della tv nella società (e più in generale dei media), cruciali per formare il consenso. Media che sono a disposizione del potere per la propaganda, ma anche utilizzabili da chi li sa usare e interpretare, rompendo la tradizione della propaganda politica per aprirsi alle tecniche di marketing.
Non parla della caduta di un regime, dei grandi fatti, però delle grandi idee sì: in fondo Saavedra propone una società diversa da quella di Pinochet, propone un sogno, un’idea di paese. Non fa nessuna concessione all’avversario, ma riesce a superare gli steccati, a mettere davvero in difficoltà la dittatura.
Forse è un film che ha molto da insegnare anche per lo scenario italiano degli ultimi tempi: uscire dalle logiche pro e contro, ma entrare in rapporto e dialogo con un elettorato diverso utilizzando canali noti e più familiari a quelle persone.

Nicola Falcinella

NO – I giorni dell’arcobaleno

Regia: Pablo Larrain. Sceneggiatura: Pedro peirano. Fotografia: Sergio Armstrong. Montaggio: Andrea Chignoli. Interpreti: Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Nestor Cantillana. Origine: Cile, Usa, 2012. Durata: 110′.

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