“CHI SIETE? A CHI APPARTENETE? COSA ANDATE CERCANDO?”
Questo il mantra di Vinicio Capossela, dell’ultimo documentario etnografico di Stefano Obino, Nel paese dei coppoloni. Ispirato all’omonimo romanzo del cantautore, punteggiato da alcuni brani dall’album Canzoni della cupa, racconta della regione meridionale dell’Irpinia, terra d’origine dell’artista.
Esiste l’algia, la nostalgia di qualcosa che le nostre ossa conoscono, ma che non abbiamo mai realmente vissuto. Vinicio sostiene che la ritualità sociale non debba sparire. Se la gente smette di festeggiare lo sposalizio, si finisce in una storia il cui il tempo non scorre. Il ciclo della mietitura non deve essere cancellato, perché tiene attiva nostra percezione sensoriale.
“VADO CERCANDO MUSICA E MUSICANTI DOVE LA MUSICA NON C’È“.
Ma Vinicio la musica la trova, anche nel vuoto paese dell’Eco, nel coro delle rugate mammenonne o nella banda della posta. Niente di più semplice per un cantautore come lui, attento alla mescolanza di latino e dialetto, all’importanza sociale dello “stortonome”.
Vinicio, che di fantasia ne ha da vendere, sostiene che noi siamo coppoloni. Siamo esseri immaginari, crediamo alle storie, le inventiamo. Siamo scesi dal monte, che eravamo isolati, per dirigerci verso Nord. Siamo figli di un popolo di migranti, che ha abbandonato la terra cretosa contadina. Essenziale, nostalgica e aspra la campagna dell’Irpinia, i budelli dei suoi borghi asimmetrici, le esigenze – o volontà? – di un popolo contadino così deciso a vivere concentrato, per poi disperdersi.
Un popolo che, migrando, ha abbandonato il terreno di coltivazione dei Siensi: La fonte della saggezza che fa conoscere come si é fatti, come é fatto il mondo. Di generazione in generazione, Vinicio ascolta questa conoscenza svanire, e il moto che genera i canti si indebolisce.
“VIANDANTE CHE NON CONOSCI IL CAMMINO, SEMPRE PRESTA ATTENZIONE AL CRUCISTRADA, INCROCIO DI DESTINI“.
Il “crucistrada” é una delle immagini che rendono leggendaria e mitologica l’esplorazione, del cantautore, su carta stampata. Siamo sì, come individui, il risultato di ciò che ci ha preceduto, ma siamo anche capaci, come uomini, di rimanere fermi a quell’incrocio. Se le nostre origini ancora non ci hanno scelto per manifestarsi, é necessario cercarle e farsi trovare per la via. Capossela così esplora la sincronia e la diacronia dei luoghi spenti, le terre abbandonate e silenziose. Ci redime dalla nostra dimenticanza, facendole letteralmente risuonare, portando alla luce la chiave di lettura di un romanzo tanto magico quanto concreto.
https://www.youtube.com/watch?v=F1BN9JRR3Ws
Saliamo quindi su una trebbiatrice volante, simbolo di un passato contadino, di un futuro tecnologico e dell’immaginario:
“La conoscenza di scienza ha dissolto favole e miti. Ma a questo servono il carbone e le storie, a fare più grande la terra di quello che è. Che abbiamo bisogno del non conosciuto, e ogni spettro, ogni buio è un regalo, per restituire al mondo la sua ignota grandezza.”
Regia: Stefano Obino. Interpreti: Vinicio Capossela. Origine: Italia, 2016. Durata: 105′.