I mustang sono cavalli che vivono selvaggi nelle regioni del nord-ovest degli Stati Uniti. Indomabili. Come le protagoniste del film dell’esordiente Deniz Gamze Ergüven, cineasta di origine turca, ma di formazione francese. Sono le cinque sorelle adolescenti, o quasi (Lale, la più piccola, ha ancora un piede nell’infanzia), costrette alla clausura in un villaggio turco che si affaccia sul Mar Nero, ma per niente disposte ad accettare la condizione di prigioniere in casa, imposta dallo zio e, suo malgrado, dalla nonna, parenti a cui sono state affidate dopo la morte dei genitori. Il pretesto è un gioco innocente: un bagno di fine scuola, quando ragazze e ragazzi festeggiano l’estate, le une a cavalcioni sulle spalle degli altri (tutti vestiti naturalmente), spintonandosi e schizzando acqua, né più né meno. Tanto basta per indignare una vicina bigotta e scatenare la reazione della nonna e, soprattutto, dello zio. Dapprima le ragazze vengono iniziate ai lavori di economia domestica, poi indossano orribili casacche marroni, infine – di fonte alle continue incursioni degli spasimanti e un’incredibile fuga per assistere a una partita di calcio – lo zio decide di ingabbiare letteralmente le ragazze, serrando porte e finestre con inferriate degne di un penitenziario di massima sicurezza. Le giovani sono però cavalli indomabili – appunto – e forte è il desiderio di libertà. La nonna arrangia matrimoni come unica soluzione, ma solo le due più grandi, la disinvolta Sonay e la più introversa Selma, accettano le nozze come via di fuga. Le reazioni di Ece e Nur saranno differenti e, mentre emergono terribili dinamiche familiari, Lale inizia a escogitare un piano che ribalti quello che sembra un destino già scritto.
Mustang è un’opera prima disinvolta, coraggiosa, se pensiamo al clima culturale che si respira nelle zone più remote della Turchia, paese comunque in fibrillazione e in costante trasformazione, nonostante un’amministrazione conservatrice. Come spiega la giovane regista, “è una regione in piena effervescenza.. si percepisce la presenza di una forza, di un’energia particolare. Si ha la sensazione di essere al centro di qualcosa“. Le cinque protagoniste del film rappresentano il desiderio di emancipazione delle donne turche, costantemente al centro del dibattito politico (incredibile se pensiamo che in Turchia il diritto al voto le donne lo hanno conquistato negli anni ’30!), ma anche cinque sfumature diverse della femminilità. A tratti nel film le sorelle sembrano essere un corpo unico che, scoprendo la propria sessualità, ora si compiace, ora si contorce, ora urla e reagisce alle terribili imposizioni della famiglia, cellula microscopica che segue le direttive dell’organismo/Stato. In questo la differenza abissale con Il giardino delle vergini suicide, a cui pure Mustang sembra afferire. Nell’opera prima di Sofia Coppola la famiglia era un nucleo chiuso e impermeabile, dominato dalla legge della dispotica madre in un contesto invece aperto e post-sessantottino. In Mustang è evidente quanto il clima culturale incida sulla vicenda. Senza deragliare con discorsi ideologici (Ergüven cita Salò tra i film di riferimento), la regista sottolinea le brutture di una società che riduce i corpi ad oggetti, che lascia dunque poco spazio alle libertà individuali, non solo alle donne, se è vero che ogni azione della nonna (personaggio magnifico) è la sintesi tra desiderio di proteggere le nipoti e necessità di salvarne le virtù, almeno in apparenza; se è vero pure che gli stessi uomini agiscono sotto il condizionamento della legge islamica, anche se nei comportamenti anticonformisti dei giovani si percepisce un afflato nuovo.
Deniz Gamze Ergüven afferma come ogni proibizione che ha lo scopo di confinare maschile e femminile, ottenga l’effetto opposto, caricando di eros ogni gesto normale. Le sorelle più grandi sono il risultato di queste dinamiche, la loro è una sessualità che esplode perché repressa, fino ad occupare interamente le loro vite, i loro corpi. La macchina da presa le coglie nella grazia dei movimenti e nella sensualità dei loro visi, come nelle esplosive trasgressioni; le inquadrature spesso sono riempite da questa fisicità che fa da controcanto alle serrature e alle chiavi che ritornano in tutto il film.
La voce di Lale, narratrice interna, acquista un valore importante: diversa dalle voci dei due ragazzi che osservavano dall’esterno le vergini suicide della Coppola, quella di Lale è la descrizione di un processo di autoconsapevolezza, un diario senza diario di una bambina che prende le misure del mondo adulto per elaborare una risposta acuta, un piano di fuga come fosse la protagonista di un film carcerario (fuggire da Alcatraz ad esempio) o l’eroina di una fiaba (con tanto di aiutante magico). E per far questo sposta il suo occhio vivace sulle sorelle, mettendole al centro del suo racconto, una dopo l’altra, espediente narrativo che permette alla regista di avvicinarsi (con lo spettatore) alle protagoniste, senza sfilacciare la vicenda narrata.
Trionfatore alla Quinzaine di Cannes, Mustang rappresenterà la Francia ai prossimi Oscar. E pensare che la regista era rimasta senza produttore (…in fuga) a sole tre settimane dalle riprese del film!
Vera Mandusich
Mustang
Regia: Deniz Gamze Ergüven. Sceneggiatura: Aluice Winocour, Deniz Gamze Ergüven. Fotografia: David Chizallet, Ersin Gök. Montaggio: Mathilde Van de Moortel. Interpreti: Güneş Nezihe Şensoy, Doğa Zeynep Doğuşlu, Elit Işcan, Tuğba Sunguroğlu, Erol Afsin, Ilayda Akdogan. Origine: Francia/Germania/Turchia, 2015. Durata: 97′.