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MUFFA

muffa-filmTriste la casa quando piange una perdita. I silenzi ingombrano il vuoto e attendono un sibilo che possa riportare la vita in locali per sempre diversi. Basri, guardiano di un troncone delle ferrovie in una zona rurale dell’Anatolia, ha perduto la moglie dopo aver perduto il figlio appena diciottenne, scomparso, anzi cancellato improvvisamente all’inizio degli anni ’90. La Turchia moderna si è ingoiata una generazione di giovani come fecero le dittature sudamericane negli anni settanta e ottanta.
Desaparecidos turchi. Ne sapete qualcosa? qualcuno ricorda quella strage invisibile a due passi da casa nostra? Certo, Golfo ed ex Jugoslavia arrivavano a colazione con i semi al fosforo, che scintillavano sugli schermi televisivi sullo sfondo delle notti verdemarcio dei teatri di guerra. Invece in Turchia tra il 1990 e il 1996 le unità speciali dell’esercito, con il pretesto della lotta al terrorismo, prelevavano i giovani contestatori di sinistra, giustiziandoli a sangue freddo, sbarazzandosi dei corpi: chi in mare, chi in fosse comuni. Studenti. Proprio come in Argentina. Le madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires, le cosiddette “madri del sabato” a Istanbul. La storia che non insegna o insegna a fingere quando i segni del terrore di una dittatura sono già cicatrici insanabili sulla pelle di un popolo. Ovvio, per le diplomazie internazionali non doveva essere facile dare credito alle voci di chi denunciava la strage. Il protagonista di Muffa, opera prima intensissima del trentaduenne Ali Aydin, è proprio Seyfi, figlio invisibile e costantemente evocato da Basri: uno per raccontarne migliaia: presenza nelle scarne stanze dell’abitazione dell’uomo, la cui ragione di vita è l’attesa di un corpo da seppellire.
Basri per diciotto anni (tanti ne sono passati dalla scomparsa di Seyfi) ha scritto due lettere al mese: una al Ministero degli Interni e una alla Questura. Il contenuto: una sorta di mantra recitato all’infinito dove chiede notizie. Una traccia che riempie il film, che senza didascalismi o muffa-fotoracconti epici di madri sofferenti, si fa disegno della sofferenza di un uomo che sopravvive alle sventure, convinto dalla nascita di avere un destino segnato dalla morte. La grande storia contemporanea della Turchia rimane in filigrana, un bozzetto che, per forza di cose,  ci tocca completare con la nostra immaginazione.
Basri ha poche relazioni, appena qualche collega, un ragazzo coetaneo del figlio che le epurazioni hanno risparmiato, ma che vaga come un randagio bastardo, alcolista, indebitato con un magnaccia, senza progetto, senza futuro, alienato dal mondo e – non poteva che essere così – divorato dal mondo, sotto forma di un locomotore che lo stritola sotto gli occhi di Basri. Lui guarda e non evita la tragedia, perché il giovane aveva infangato la memoria del figlio. Ecco: il male irrazionale che ha cotto l’anima di Basri, cucinando una vendetta che non può avere altro referente che un poveraccio.
Il film indugia in piani sequenza di rara intensità espressiva. Ercan Kesal (il padre) e Muhammet Uzuner (un commissario compassionevole), tutti e due apprezzati in C’era una volta in Anatolia di Ceylan, ci mettono tutto il loro talento, interpretazioni a sottrarre fino ad arrivare al midollo dell’emozione. Difficile dire con una semplice smorfia, con un semplice movimento nello spazio. Il giovane regista affida (consegna) il film ai suoi attori, chiedendo di tenere alta l’asticella del conflitto, senza dimenticare che entrambi sono parti di un meccanismo che ha generato dolore. L’ispettore è mosso da una pietas che ne fa personaggio profondo, soprattutto quando è costretto a comunicare a Basri che il figlio è stato ritrovato.
Algido l’obitorio ne consegna le ossa in una cassetta in legno. Due carte da firmare. Condoglianze di rito. Da abbracciare rimane il ricordo. La pace nella certezza di un sepolcro. Lontano dai binari, alla fine di un viaggio.

Alessandro Leone

Regia e sceneggiatura: Ali Aydin. Fotografia: Murat Tuncel. Interpreti: Ercan Kesal, Tansu Bicer, Muhammet Uzuner. Origine: Turchia/Germania, 2012. Durata: 94’.

http://www.youtube.com/watch?v=pgWpbBlkIQQ

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