La sfida estrema dell’uomo alla natura. Una sfida semplice, primordiale, eppure potente e universale, come se sfidasse gli elementi per chiedere: “perché non mi dai il pane?”. Monte, il nuovo film dell’iraniano Amir Naderi, girato in Italia tra le montagne dell’Alto Adige e quelle del Friuli è uno di quei film sconvolgenti, che non si dimenticano, che si possono anche rifiutare, ma che segnano delle tappe importanti. Una pellicola estrema e senza compromessi, lucida e folle, il racconto di una lotta per la sopravvivenza portata alle estreme conseguenze, oltre i limiti.
Siamo nel medioevo in un piccolo villaggio ai piedi di una montagna (nella realtà il Latemar), a strapiombo, una posizione che lo priva del sole per troppe ore. Si inizia con il funerale di una bambina, figlia di Agostino (Andrea Sartoretti) e di Nina. Dopo la cerimonia, gli altri abitanti del villaggio prendono i loro carri, le bestie, i pochi averi e partono, vinti da quel luogo così avaro, che non dà neppure il necessario. La vetta nasconde il sole e le pietre dei campi non lasciano crescere quasi nulla, in più i lupi si aggirano alla ricerca di cibo. La coppia, con l’altro figlio Giovanni, decide di non muoversi e non abbandonare la casa, di restare accanto alla tomba, perché la defunta “è ancora troppo piccola per stare da sola”. Cercano in tutti i modi di trarre il massimo dal loro orto, di provare a vendere i pochi prodotti nel paese a valle, dove vengono regolarmente rifiutati. Agostino è convinto che il lavoro, la fatica, l’umiltà, il sacrificio porteranno frutti, ma il suo impegno è vano, il paese lo rifiuta, una donna incontrata per strada (Anna Bonaiuto) gli fa persino il malocchio. È accusato di furto mentre cerca di vendere una spilla della moglie, l’ultimo oggetto rimasto loro; viene cacciato. Più le cose sembrano senza via d’uscita e più il protagonista entra in un gorgo di follia che lo porterà a percuotere a mazzate la montagna, in un gesto di ribellione estremo, il culmine di un’ossessione.
Naderi racconta l’attaccamento alle radici e la sfida al destino che li ha fatti nascere lì: i paesani prima di andarsene se la prendono con i loro antenati che avevano scelto quel luogo, mentre il solo Agostino sembra accettarlo. È solo apparentemente contraddittorio il legame così radicato tra quest’uomo e il villaggio, nel quale in un certo senso si sente estraneo, quasi straniero. Monte tratta una storia eterna, la collocazione temporale serve solo a purificare la lotta tra uomo e natura da ogni armamentario tecnologico, a portarla su un piano squisitamente simbolico e atemporale, appunto. La montagna è il simbolo enorme e invincibile di qualsiasi ostacolo, di qualcosa di insormontabile e quasi divino. Non a caso Agostino assurge a essere una figura biblica, il suo confrontarsi con il monte è un confrontarsi con l’assoluto, usa la mazza perché è l’unico strumento che ha a disposizione, per farsi ascoltare, per provare un’interlocuzione, per provare a cambiare le cose. Se all’inizio le voci degli attori doppiate sono poco credibili, i costumi e la situazione possono essere stranianti, le immagini potenti del regista portano presto nel mondo che voleva immaginare e costruire. Un mondo eterno, simbolico, dove le questioni, comodità della nostra società a parte, sono ancora tutte lì, anche se cerchiamo di dimenticarlo. Naderi è come se volesse prendere a martellate anche noi, fino allo sfinimento, a ricordarci che è solo dopo aver superato ogni limite che possiamo andare oltre le convenzioni e l’abitudine. Un film che a forza di martellate vuole smuovere anche l’interesse dello spettatore.
Più della narrazione, contano la simbolizzazione, la potenza visiva, la forza, il crescendo emotivo, che fanno di Monte uno dei più bei film passati alla settantatreesima Mostra del Cinema di Venezia, un’opera che avrebbe a buon diritto potuto concorrere per il Leone e invece è stata posizionata fuori concorso. A Naderi, autore fondamentale non solo del cinema iraniano, noto soprattutto per The Winner, Il corridore, Manhattan in cifre, Sound Barrier, Vegas e Cut, è andato il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker, non abbastanza per un cineasta così radicale, coerente e visionario.
Nicola Falcinella
Monte
Sceneggiatura e regia: Amir Naderi. Fotografia: Roberto Cimatti. Interpreti: Andrea Sartoretti, Claudia Potenza. Origine: Italia/Francia, 2016. Durata: 105′.