Uno degli ultimi film presentati alla diciottesima edizione del Milano Film Festival è stato, Habi, la Extranjera della regista argentina Maria Florencia Alvarez, che già nelle scorse edizioni della manifestazione aveva presentato i suoi cortometraggi. Ora questa autrice sceglie di portare a Milano anche il suo primo lungometraggio. Indubbiamente la giovane regista ha un’intuizione tematica molto interessante, ovvero parlare della ricerca del proprio posto nel mondo. La storia racconta infatti della giovane impiegata di un’ artigiana di provincia, che si ritrova a dover fare una consegna ad un membro della comunità islamica di Buenos Aires. La protagonista dovrebbe poi tornare a casa,dove l’attende la madre che la vorrebbe parrucchiera nel suo negozio. Ma per lei il fascino esercitato dalla cultura islamica è tanto forte da spingerla a fermarsi in città, affittando una stanza in uno squallido hotel. In seguito la ragazza si appropria di una nuova identità che la rende membro della comunità islamica: Habiba sarà il suo nuovo nome.
L’autrice fonda la sua storia su un presupposto ancora non ben definito, rendendo il film un po’ casuale nel suo svolgimento, poco geometrico nella definizione delle situazioni. Il problema sta soprattutto nel fatto che la motivazione della protagonista è debole. Non si capisce bene quale sia la realtà dalla quale la ragazza vuole fuggire, non si gioca mai il tutto per tutto quasi come se la regista fosse timorosa di mostrare troppo e, nel timore, mostrasse troppo poco. Anche le situazioni di contorno ed i personaggi secondari fanno fatica a trovare il proprio ruolo, soprattutto a causa del fatto che la storia segue sempre il punto di vista della ragazza, non azzardando mai però una visione introspettiva del racconto. Allora, per esempio, la vicina di camera che subisce violenza dal partner, così come l’amica e il ragazzo islamico, risultano sempre elementi sospesi e poco essenziali all’economia del racconto.
I difetti sono insomma quelli di chi ha la mano ancora inesperta nello sviluppare la propria idea, che per quanto interessante in potenziale, rimane confusa e non guida la trama verso una compiutezza di senso. L’attrice protagonista, Martina Juncadella, è comunque molto brava ad enfatizzare le sfumature espressive del personaggio e dà una giocosità al film che non guasta. Il ragionamento sull’incontro con una diversa cultura è comunque sempre interessante e probabilmente la Alvarez riuscirà a far crescere il suo talento per l’estetica e la sua sensibilità con nuovi progetti.
Domenica si è chiusa questa edizione del Milano Film Festival, che ha portato numerose registe donne in concorso con l’intento di far apprezzare il cinema fatto da donne. A vincere è però il surreale lavoro di Yann Gonzalez Les rencontres d’après minuit, giudicato capace di inventare lo straordinario, ed apprezzato per la fantasia ed unicità dell’opera. L’Italia porta a casa una menzione speciale con Mirage à l’Italienne di Alessandra Celesia. La sua opera è stata valutata positivamente per l’abilità di intrecciare la crisi con le storie di cinque personaggi, in un progetto inusuale nel panorama italiano.
da Milano, Giulia Colella