Gabrielle (Marion Cotillard) viene da un paesino del sud della Francia, in un’epoca in cui il suo desiderio di trovare il vero amore è considerato scandaloso, se non perfino folle. Contro il suo volere, i genitori la obbligano a sposare José (Alex Brendemühl), un onesto e amorevole contadino spagnolo che, secondo loro, la renderà una donna rispettabile. Un giorno, Garbrielle si reca sulle Alpi per curare i suoi calcoli renali, e lì incontra André (Louis Garrel), un affascinante reduce rimasto ferito durante la guerra d’Indocina, che risveglia in lei una passione sopita. Gabrielle desidera disperatamente fuggire con André e liberarsi da un matrimonio che le sembra una prigione. E questa volta è determinata a seguire i suoi sogni.
Per Nicole Garcia il romanzo di Milena Agus (id., Nottetempo 2009), da cui il film è tratto, è soprattutto un punto di partenza: “il libro aveva bisogno di essere interpretato e reinventato. Perché, se volevo raccontare una storia che fosse davvero mia, avevo bisogno di appropriarmene completamente”, afferma. Da qui, la decisione di semplificare i piani narrativi (nel romanzo la narrazione della vicenda sarà affidata alla nipote della protagonista), di eliminare alcuni passaggi e di inventarne degli altri. Nelle intenzioni, il risultato avrebbe dovuto essere il racconto di un lungo tratto della vita di una donna (17 anni) percorsa da passioni totalizzanti e chiusa in un mondo che non sembra non avere gli strumenti per capirla. Una donna aggrappata alla ricerca di un amore tanto grande da divenire ragione di vita e che sarà allora nominato come “la cosa principale”. Ma in fase di sceneggiatura Nicole Garcia e Jacques Fieschi sembrano scivolare pericolosamente verso il melò, senza però arrivare a farne una scelta consapevole e perciò senza entrarci mai davvero.
Dopo una prima sequenza dove la macchina da presa è chiamata a mostrarci piccoli gesti e sguardi che sono come un elenco di storie possibili, il film prende una strada dalla destinazione annunciata, inanellando situazioni ormai consuete e dall’esito prevedibile. Sarà così anche per il colpo di scena finale: dopo un primo smarrimento, riporterà lo spettatore nei territori del già visto. A provare a bilanciare un percorso narrativo tutto buttato sui sentimenti, e quindi sull’irrazionale, Nicole Garcia allestisce una messa in scena rigorosa, con inquadrature costruite, perché davvero di costruzione si tratta, con estrema cura. Il lavoro di Cristophe Beaucarne sull’utilizzo della luce è probabilmente quanto di meglio il film ha da offrire. Nelle sequenze ambientate nella casa dei genitori, prima, e in quella che Gabrielle dividerà poi con il marito le ombre tagliano di netto lo schermo, offrendo porzioni di nero in cui la diversità di Gabrielle può provare a nascondersi e a cercare scampo. Contrasti che, come è giusto, andranno a smorzarsi nella parte centrale. Nella casa di cura, dove ognuno è, a suo modo, diverso, le differenze si appiattiscono in colori più tenui; in una luce più rarefatta e, verrebbe da dire, indulgente.
In questa luce Marion Cotillard conduce il proprio personaggio, con un’interpretazione che prova a muoversi tra gesti trattenuti e strappi improvvisi. E’ anche grazie a lei se il film non precipita. Alla sua capacità di mostrare con il proprio corpo un’interiorità che, per emergere in maniera compiuta, avrebbe però avuto bisogno di una scrittura meno di superficie.
Mal di pietre finisce allora per non essere il film che si era proposto di essere. Un film che perde troppo presto la strada e che, nel tentativo di ritrovarla, finisce per portarci in luoghi che abbiamo frequentato fin troppo spesso.
Matteo Angaroni
Mal di pietre
Regia: Nicole Garcia. Sceneggiatura: Jacques Fieschi, Nicole Garcia. Fotografia: Christophe Beaucarne. Montaggio: Simon Jacquet. Interpreti: Marion Cotillard, Louis Garrel, Aloise Sauvage, Ange Black-Bereyziat, Àlex Brendemühl, Brigitte Roüan. Origine: Francia, 2016. Durata: 116′.