Non è un’operazione nostalgica il film documentario di Thierry Fremaux. I 114 film di Lumière! La scoperta del cinema sono la ragione di una rivoluzione dell’immaginario che ha scombinato il Novecento. Una parte di un archivio ben più ampio, visto che la brigata Lumière, con a capo Louis e Auguste, ne aveva prodotti 1422 in circa dieci anni. Erano le cosiddette “vedute” della Société Lumière. Vedute: come se i Lumière e i loro operatori avessero ereditato da Canaletto e Guardi, o da Van Wittel, l’intenzione di fermare il tempo della vita in uno scorcio, concedendosi di tanto in tanto dei capricci per mescolare finzione e realtà. Nel mezzo c’era stata la fotografia, le diavolerie del precinema, ovvero l’avventuroso percorso verso l’illusione realistica del movimento. Fremaux, già direttore del Festival di Cannes, nonché dell’Istituto Lumière, presieduto dal critico e regista Bertrand Tavernier, seleziona e mette “a tema”, in undici capitoli, segmenti di “un film lungo dieci anni”, giuntura tra due secoli a cavallo della Belle Epoque, finestra aperta prima sulla Francia (dalla Ciotat a Parigi) e poi sul mondo intero. Brevi, brevissimi, film da 50″, il tempo di un caffè che inizi ad assaporare solo quando la tazzina è ormai vuota.
Privo di interviste, di aperture storiche o scientifiche chiarificatrici del fenomeno cinematografo, Lumière! La scoperta del cinema racconta i pionieri francesi unicamente con il loro cinema. Uno dopo l’altro scorrono i film accompagnati dalla voce narrante di Valerio Mastandrea (per la distribuzione italiana), che asseconda le immagini, di tanto in tanto ne rivela i segreti, ne evidenzia le attinenze con la società dell’epoca e il valore di documento storico. Al tempo stesso però non manca di sottolineare come in quelle vedute ci fossero già i semi linguistici che avrebbero generato discorsi articolati. L’inquadratura a macchina fissa si fa dunque complesso territorio semantico. La pellicola lunga 17 metri, per 50″ di girato, bisognava impressionarla con intelligenza, per cui – dall’uscita degli operai dagli stabilimenti Lumière alla pappa del pupo, dagli scorci cittadini ai “carrelli” con macchina da presa caricata su battelli o ascensori (su per la Torre Eiffel) – si è subito trattato di selezionare lo spazio, di cercare profondità, di dinamizzare la staticità del cavalletto. A maggior ragione quando il vero veniva simulato o palesemente tradito con la messa in scena. Documentazione del reale, d’accordo, con operatori inviati nei cinque continenti a portare nelle piccole sale di città, luoghi esotici, genti lontane, oceani e catene montuose. Ma anche piccoli teatrini familiari, gag, divertimenti, ancora capricci. Sempre e comunque con gusto compositivo, nonostante non ci fosse loop da cui spiare il quadro di ripresa.
Uno dopo l’altro scorrono i film e si finisce per credere che quel mondo lontano 120 anni fosse davvero e solo in bianco e nero (smaltato dal restauro, certo) anche fuori campo, là dove la rigidità della macchina fissa non arrivava; e ancora oltre i confini francesi, dove altre macchine da presa avevano imprigionato per la prima volta il mondo in movimento. E anche dopo il cinquantesimo secondo, quando la pellicola si interrompe sul più bello, quando avremmo voglia di guardare di più, in profondità, per cogliere i dettagli, le sagome affondate nel nero o dietro il fumo di un sfiatatoio, il cinquantunesimo secondo è sempre un salto nel vuoto, l’orrore dell’invisibilità perenne, di un passaggio fugace e senza ritorno: le lavandaie sulla riva del fiume, un volto aristocratico, un bimbo africano che corre nella polvere, l’arrivo di un treno in corsa. Fine pellicola, fine della vita (della sua simulazione). Il cinema è luce, ma il nero ingoia gli istanti di un movimento sorprendente e che nessuno pensava di poter vedere animato, incorniciato dagli stucchi retrò di un muro immacolato.
Alessandro Leone
Lumière! La scoperta del cinema
Regia: Thierry Fremaux. Voce narrante: Valerio Mastandrea. Origine: Francia, 2016. Durata: 90′.