Nel 1971, quando ancora il cinema horror non aveva popolato i nostri incubi con poltergeist e case infestate (o non erano entrate prepotentemente nel nostro immaginario ancora legato semmai ai racconti ancestrali della cultura popolare), nessuno avrebbe pensato che se tutti gli orologi di un’abitazione si fossero fermati alle 3.07 – ogni notte – la causa potesse avere origini soprannaturali. Infatti la famiglia Perron, trasferitasi ad Harrisville in una vecchia villa nemmeno tanto vecchia, si limita a giudicare curioso il fenomeno.
Al diavolo il Diavolo! Fosse ambientato nel 2013, The Conjuring farebbe ridere, perché da Amityville a La Casa di sangue sotto i ponti ne è passato, diventando, quello delle possessioni di luoghi e persone, un vero sottogenere. Il film di Wan, al di là delle informazioni iniziali a premessa di una vicenda ricostruita su fatti reali – ma al cinema, dove tutto è finzione, bisogna diffidare sempre – è credibile nell’impianto, forte di una scrittura (eccezion fatta per qualche battuta di dialogo) che pur rifacendosi alle figure ormai classiche di questo cinema, sorprende con un crescendo di eventi che prendono corpo senza forzature, seppure in un teatro già visto, agganciando lo spettatore ai diversi personaggi, definiti da pennellate leggere ma significative. Ci troviamo del resto di fronte a una corale: mamma e papà Perron con ben cinque figlie (appena adolescente la più grande), nonché i due indagatori del mistero, Ed e Lorraine Warren, con aiutante e poliziotto scettico.
Il classico trasferimento, l’occasione di una vita (tassello essenziale in ogni sogno americano che si rispetti), villa sul lago in uno scenario da favola. Poi i segni del soprannaturale, vibrazioni che si fanno immagine, il male che gioca con le paure dei vivi, e dal sottodimensionamento dei fenomeni si passa al terrore. Entrano così in gioco Ed e Lorraine, che l’intro ci aveva mostrato alle prese con una bambola (vi ricordate La bambola assassina?). Sembrano membri del Cicap per la capacità di mitigare o rendere plausibile l’a-normale, ma con un universo del possibile assai più vasto. La diffidenza iniziale è subito vinta durante la prima visita, quando Lorraine (che è sensitiva) vede le “presenze”, squarciando il muro dell’invisibile, ancora invalicabile per lo spettatore. Tutto il resto è battaglia fino all’esorcismo finale, quando il demone, conquistato il corpo della madre (superba Lili Taylor), tenta di far fuori la bimba più piccola, riparata in uno dei luoghi simbolo di ogni incubo infantile: l’intercapedine sconosciuta che si svela sotto il pavimento, spazio di morte per eccellenza.
Ma la trama è più articolata e tende a decentrare costantemente il fuoco dalla villa infestata (con il corollario di indagine sul passato drammatico di chi vi abitava e di cui nulla sveliamo) verso la dimensione privata della coppia Ed/Lorraine, non tanto quella sentimentale/emotiva, che avrebbe fatto scivolare il film verso registri impropri, quanto sulla costante minaccia che le trame del maligno inquinino il privato, i legami parentali e, fisicamente, la loro bambina (teoricamente protetta e tenuta distante), liberando in un colpo solo i demoni costretti in una sorta di museo degli orrori contenuto letteralmente nella casa dei coniugi Warren.
La bravura di James Wan è nel collocare la coppia costantemente sull’orlo del baratro, definendo solo in potenza la possibilità che ogni oggetto nel loro privato museo/prigione evada per confondere nel caos il nucleo familiare con chissà quali conseguenze. Invece il Corpo Oscuro sfida Lorraine (soprattutto lei che può vedere su lunghezze d’onda differenti dai comuni mortali) fuori dalla villa, facendo presagire un inferno che invece viene ricacciato nei territori maleodoranti che gli sono propri. E’ quasi un “fuori programma” rispetto allo sviluppo consueto di certe trame di genere, tanto quanto basta a tagliare la tensione nella casa dei fantasmi raddoppiandola però verso il finale quando si vive con il costante timore che l’esorcismo (recitato tra l’altro da Ed, in assenza di un prete che la burocrazia vaticana ha rallentato) non basti affatto. E invece l’invocazione sortisce gli effetti desiderati ma non tanto per le proprietà benefiche dell’acqua santa, quanto per l’intuizione di Lorraine – che è mamma – di scovare nella posseduta – altra mamma – la via verso l’immagine più solare del film: la famiglia unita in una giornata di svago. Il fuori campo mentale diventa così uno sprazzo luminescente, ribaltando il meccanismo che vorrebbe sempre e solo incubi. Oltre l’inquadratura sono posizionate così non solo le minacce, che un’ottima regia riesce ancora (dopo decine e decine di pellicole) a rendere a tratti spaventose, ma anche l’inconscio nelle sue rappresentazioni più edificanti.
Pur nella cornice costretta di una foto di gruppo, i bambini sorridenti diventano l’unica variabile possibile, alla faccia dei desideri del demone vendicativo che già aveva immolato a Satana il suo primogenito tempo prima. Forse un po’ poco, ma in teoria l’immagine diventa sineddoche sufficiente per rappresentare la famiglia da mulino bianco quale valore supremo e fondante.
Parentesi: se ogni horror movie custodisce sempre una sottotraccia metaforica, ci sarebbe da chiedersi quanta middle-class americana post-mutui subprime ci sia nelle famiglie Warren e Perron e nella casa dei sogni disintegrata dall’interno!
Parentesi chiusa.
La fotografia di Leonetti non dimentica le cromie classiche, senza rinunciare però alle atmosfere sevenites, abbordando così anche i più scettici, avvinti da una storia che deve essere presa per vera, rendendo quindi possibile l’apertura del piccolo vaso di Pandora che ognuno di noi custodisce (con oggetti magici e paurosi sotto teca), perché il maligno esiste e si manifesta con modalità mai scontate ma sempre spiegabili “scientificamente”.
Dove vadano a finire però le ombre scacciate dagli scantinati, esorcizzate dalle Regan di turno, messe in fuga da crocefissi e invocazioni rimane ancora un mistero, perché se rielaborare l’incubo è la storia solo accennata dai sequel de L’Esorcista, l’elaborazione del lutto degli Others, fantasmi imprigionati nel tempo e nel luogo di cruente torture e sevizie, si consumerà forse in dimensioni altre ancora inesplorate dal cinema.
Alessandro Leone
L’evocazione – The Conjuring
Regia: James Wan. Sceneggiatura: Chad Hayes, Carey W. Hayes. Fotografia: John R. Leonetti. Montaggio: Kirk Morri. Interpreti: Vera Farmiga, Patrick Wilson, Lili Taylor, Ron Livingston. Origine: Usa, 2013. Durata: 112′.