Berlino 1940. Otto e Anna Quangel (Brendan Gleeson e Emma Thompson), coppia della working class, dopo la morte sul fronte del loro unico figlio, assumono posizioni critiche nei confronti del governo tedesco. Occupano un appartamento di un edificio abitato da un magistrato in pensione e da una anziana ebrea che, dopo la denuncia di un delatore, preferisce il suicidio all’arresto violento della Gestapo. Otto comincia così a scrivere su alcune cartoline frasi anonime dai contenuti antibellici, posizionandosi apertamente contro il regime nazista. Insieme alla moglie lascia le cartoline in luoghi pubblici, trasformando le loro semplici azioni di “contro propaganda” in atti di resistenza. Una dopo l’altra le cartoline vengono consegnate all’ispettore Escherich (Daniel Bruehl), che intraprende un’indagine che si concluderà solo nel 1943.
Tratto dal romanzo di Hans Fallada Ognuno muore da solo, Lettere da Berlino, diretto senza sussulti autoriali da Vincent Pérez, ha il pregio di riaccendere i riflettori (dopo La rosa bianca – Sophie Scholl) sull’opposizione interna, che tentò di far breccia nel cuore dell’opinione pubblica tedesca attraverso forme di rivolta pacifica, pubblicando spesso testi in aperta opposizione alla retorica hitleriana che aveva omologoto milioni di tedeschi. In Lettere da Berlino però non sono studenti universitari o perseguitati politici ad operare in clandestinità, ma un uomo e una donna ben oltre i cinquant’anni e senza un retroterra culturale o ideologico forgiato in salotti progressisti. Otto e Anna maturano le loro coraggiose posizioni, in risposta al trauma di una perdita inconsolabile e riposizionando il loro sguardo sul loro presente. Guardando in profondità gli eventi storici, colgono ciò che la stragrande maggioranza dei tedeschi non riesce a vedere, ovvero i segni di una catastrofe che affonderà la Germania. L’inchiostro di Otto definisce invettive che si trasformano in epitaffi. Le bandierine rosse che l’ispettore Escherich posiziona sulla piantina di Berlino sembrano moltiplicare i luoghi di un costante bombardamento. E’ in definitiva lo spettro della fine prossima.
La vicenda dei coniugi Quangel racconta di una Germania sotterranea che non accettò la follia di Hitler e dei suoi gerarchi, ma la narrazione di Pérez, utilizzando figure gergali tipiche del thriller, dimentica a tratti di lavorare sui personaggi: da metà film in avanti smette di scavare nella psicologia di Otto e Anna, ma soprattutto di approfondire la complessa personalità di Escherich, diviso tra obbligo verso il suo Stato e percezione di una verità diversa. La sua trasformazione è riassunta in passaggi narrativi scolastici e poco credibili. C’è il problema poi dei personaggi secondari di cui il regista sembra dimenticarsi, marginalizzandoli, uccidendoli nel buio di un fuori campo che equivale ad un fuori storia: la postina amorevole così presente nella prima parte del film, il magistrato illuminato, il delatore che vive di espedienti, sono colori di un’umanità sfaccettata che perde di intensità cromatica a vantaggio di una vicenda che ad un certo punto pare voler trovare unicamente la strada dei titoli di coda.
Vera Mandusich
Lettere da Berlino
Regia: Vincent Peréz. Sceneggiatura: Achim Von Borries, Bettine von Borries. Fotografia: Christophe Beaucarne. Montaggio: François Gédigier. Musiche: Alexandre Desplat. Inteerpreti: Emma Thompson, Daniel Bruehl, Brendan Gleeson, Mikael Persbrandt, Louis Hofmann. Origine: GB/Francia/Germania, 2016. Durata: 103′.