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Le mura di Bergamo

L’anteprima nazionale de Le mura di Bergamo di Stefano Savona è uno degli appuntamenti più attesi del 41° Bergamo Film Meeting. Il film, che ha debuttato al 73° Festival del film di Berlino, in concorso nella sezione Encounters, sarà proiettato nell’Auditorium di Piazza Libertà domenica alle 16.15 (www.bergamofilmmeeting.it) e sarà nelle sale italiane già da giovedì 16.

È una delle opere migliori viste alla Berlinale, non un resoconto di quanto accaduto, che ovviamente in parte c’è, bensì una rielaborazione del periodo della pandemia partendo dalla città più investita dal Covid-19, la provincia simbolo della tragedia. Le mura sono quelle veneziane della Città alta, uno dei suoi vanti, una delle sue attrazioni e uno dei luoghi di ritrovo, tanto che è qui, nella zona del Baluardo di San Lorenzo, che si aggrega il gruppo dei protagonisti principali. All’inizio si vedono i volti silenziosi di diverse persone, scopriremo più avanti che si tratta dei componenti di una compagine che cerca di elaborare e superare l’emergenza, condividendo le esperienze e confrontandosi con gli altri. Sono storie simili tra loro e allo stesso tempo diverse, che hanno a che fare con la perdita dei propri cari, la sensazione di impotenza, il gestire l’imprevisto o l’essere sopravvissuti.
Si odono poi le campane e le ambulanze – i suoni che caratterizzano l’intero lungometraggio -, e le immagini tornano al marzo 2020, tra strade deserte, centralini dei pronto soccorso sommersi dalle chiamate, la tristemente famosa colonna dei mezzi militari che trasporta le bare. Ancora le corsie della terapia intensiva nell’ospedale degli alpini, la settimana Santa con le chiese vuote (il collegamento con le immagini del Papa in piazza S. Pietro è immediato) e il vescovo che benedice i malati dalle finestre. Tante scene appartenenti al vissuto e alla memoria di tutti, che Savona e i suoi collaboratori hanno rielaborato e non semplicemente affastellato, realizzando un film che tiene per buona parte in apnea e a un certo punto riporta a prendere aria con effetto rigenerante. Il regista mostra singoli, come don Giuseppe di Leffe o Roberta, che gestisce un’impresa di pompe funebri, che si interrogano e cercano di affrontare la situazione; dà spazio a tanti senza concentrarsi su nessuno, lasciando come protagonista la città con il circondario, la comunità che non si arrende, sebbene non si possano vedere i morti, non si possano tenere i funerali, non si possano avvicinare le persone. Emergono il lavoro dei sanitari e il ruolo del volontariato, ma pure la mancanza di comunicazione con le istituzioni, le proteste contro il Presidente della Regione Attilio Fontana e la sua giunta, e la situazione straniante creatasi nella cerimonia al cimitero con il concerto alla presenza del Presidente della Repubblica, quando i semplici cittadini dovettero restare all’esterno.

La narrazione è inframmezzata da sequenze d’archivio che segnano i paragrafi, cadenzano e danno respiro. Se all’inizio le immagini del passato sembrano difficili da collocare e un po’ forzate, ci si accorge poi che evocano la comunità che esisteva e i legami che si stanno spezzando a causa della pandemia, nella progressiva perdita di persone e relazioni causata dal virus.
Il risultato è un racconto corale delle settimane più tragiche della pandemia e nei mesi successivi, con una città e una provincia travolte da un’emergenza inattesa, che lottano per non andare in pezzi, pur nell’isolamento forzato e nel dolore lacerante, per poi cercare di ricompattarsi e ripartire senza rimuovere.
Savona, già autore di Piombo fuso (al Festival di Locarno 2008) e La strada dei Samouni (presentato alla Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes), ha compiuto un lavoro accurato, duro e delicato insieme, commuovente, che non sfrutta il dolore, non è mai ricattatorio, e si pone un obiettivo quasi curativo. Da evidenziare che il regista ha lavorato con un gruppo di suoi ex allievi del Centro sperimentale sede di Palermo, senza i quali il documentario non sarebbe stato possibile: Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega e Marta Violante.

Tra i lavori del regista, le somiglianze maggiori sono con Palazzo delle aquile, forse il meno conosciuto, anche là un lavoro corale sulla democrazia e la partecipazione, il recupero di una fiducia e l’interrogarsi sul senso dello stare insieme, la solidarietà e la cooperazione. Le mura di Bergamo è un documentario molto bello, efficace, che richiede un po’ di impegno sia per la lunghezza (oltre due ore) sia perché riapre pagine dolorose che sarebbe però stupido considerare solo come lasciate alle spalle, senza utilizzarle come occasione di riflessione su di noi, sulla nostra società e, nel piccolo, sulle nostre comunità.

Nicola Falcinella

Le mura di Bergamo

Regia: Stefano Savona. Fotografia: Stefano Savona, Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante. Montaggio: Francesca Sofia Allegra, Davide Minotti, Sara Fgaier. Musiche: Giulia Tagliavia. Origine: Italia, 2023. Durata: 137′.

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