È sempre lo scorrere del tempo il protagonista dei film di Mia Hansen-Løve, non certo come costrutto filosofico da smontare e rimontare alla maniera dei fratelli Nolan, quanto piuttosto come ascissa su cui disegnare linee curve o spezzate che segnano le esistenze. Fino ad ora l’agire del tempo aveva definito passaggi significativi dalla giovinezza all’età adulta (Un amore di gioventù, Eden), le trasformazioni che nel bene o nel male segnano i destini degli uomini (Il padre dei miei figli). Le cose che verranno – L’Avenir si pone in continuità con i precedenti lavori della trentaseienne regista francese, scegliendo però di focalizzarsi su un personaggio maturo, una donna di cinquantacinque anni la cui vita sembra scorrere tra il piacere dell’insegnamento della filosofia (in una scuola superiore) e l’acquisita, appagante, routine familiare: un marito anche lui insegnante e due figli ormai autonomi. Invece, proprio perché l’avvenire è spesso un movimento inaspettato di zolle terrestri, Nathalie (Isabelle Huppert) dovrà guardare alle cose che verranno con occhio diverso, perché in poco tempo perde il marito (che si trasferisce dall’amante) e la madre, un’anziana istrionica decisa a contrastare il passare degli anni fino a un attimo prima di morire. Davanti a sé una libertà inedita, la possibilità di ripensarsi, praticando eventualmente le suggestioni filosofiche di Rousseau o Jankélévitch, regalandosi altrimenti una pausa dal dovere di decidere obbligatoriamente dove e come ripartire.
Hansen-Løve, al quinto film, sembra non temere una scrittura lineare e priva di scene madri, ellittica ma non frammentata, ritmata invece dal susseguirsi di situazioni che vedono sempre Nathalie protagonista e che, se non sono ordinarie, non segnano nemmeno svolte decisive. Preme alla regista scavare nell’anima dei suoi personaggi, attraverso le reazioni emotive di fronte agli accadimenti della vita. Detto che la confessione del marito prima e la morte della madre dopo producono degli effetti sull’esistenza della donna, ciò che prevale nel riorchestrare le sue giornate non sono risposte pulsionali, reazioni avventate e falsamente rivoluzionarie. Nathalie si appoggia alle letture, si lascia “portare via” dagli inviti di un suo ex studente anarcoide, Fabien (Roman Kolinka), che, pagati i debiti intellettuali con la sua insegnante, ne mette in discussione il pensiero, innescando una dialettica garbata e mai pedante, consumata più che nei dialoghi, nell’agire. Azioni, ancora una volta, non ecclatanti ma definite da posizioni di pensiero: la scelta di Fabien di trasferirsi con la fidanzata in una comune o la rinuncia a pubblicare con il suo nome gli approfondimenti filosofici, contrapposti alle certezze acquisite di Nathalie, ex sessantottina che ha ricusato la rivoluzione per dedicarsi totalmente allo studio, intraprendendo la strada opposta che dal collettivo porta all’individualismo. Età diverse, diverse posizioni sapendo che – come scrive Rousseau in La Nouvelle Heloise – se la felicità non arriva, la speranza si prolunga, e l’incanto dell’illusione dura quanto la passione che lo provoca.
La regista segue Nathalie osservandone la trasformazione quasi impercettibile, perché dettata da una lenta consapevolezza che, in assenza di panorami certi, il futuro è un luogo a cui affidarsi senza tensioni, abbracciando di volta in volta le occasioni che la vita presenta. In Le cose che verranno non c’è lo sfondo colorato della scena musicale francese (Eden), riflesso di un intero periodo storico, nemmeno le gioie e i dolori come passaggi obbligati che puntellano il percorso dai quindici anni ai trenta (Un amore di gioventù). La Huppert, magnifica (ma non è una novità), si muove senza cercare caratterizzazioni, per definire semplicemente la sconcertante bellezza dell’attesa per le cose che verranno, fosse anche solo ritrovarsi nonna per riscoprire la vita abbracciando il corpo morbido di un neonato.
In un crescendo lento, la sequenza finale, bellissima, traduce in emozione un movimento lungo cento minuti.
Vera Mandusich
Le cose che verranno
Sceneggiatura e regia: Mia Hansen-Løve. Fotografia: Denois Lenoir. Montaggio: Marion Monnier. Interpreti: Isabelle Huppert, André Marcon, Roman Kolinka, Edith Scob, Sarah Le Picard, Yves Heck. Origine: Francia/Germania, 2016. Durata: 100′.