La percezione era diversa: un anno senza botti cinematografici. Invece poi, di fronte al compito di selezionare 5 film significativi del 2016, non è stato facile escludere opere meritevoli di entrare nella top-five. Le scelte dei collaboratori di redazione sono comunque state diverse e, considerando tutti i film menzionati, l’impressione è di aver identificato i titoli più significativi, dai due film di Larrain (Il club uscito in Italia con colpevole ritardo), alle ultime fatiche dei maestri Dardenne, Jia Zhang-ke, Naderi, Hsiao-hsien Hou, Eastwood; le conferme Linklater e Mungiu; le sorprese Mainetti, Carney, Benchetrit e Maren Ade (il cui film uscirà invero solo a fine gennaio), il piccolo gioiello di animazione della coppia Barras/Sciamma, il controverso Dolan, il film di Tarantino. Di seguito le nostre scelte e, in alcuni casi, anche il film che più ha deluso.
La Redazione tutta coglie l’occasione per augurare un sereno inizio d’anno.
@redazione
Matteo Angaroni
Il club di Pablo Larrain. Da quanti anni Larrain non sbaglia un film. Meglio: Pablo Larrain ha mai sbagliato un film?
La ragazza senza nome di Jean-Pierre e Luc Dardenne. I Dardenne in splendida forma. Ci mancavano.
Lo chiamavano Jeeg robot di Gabriele Mainetti. Corri ragazzo laggiù, corri tra lampi di blu. Corri in aiuto di tutti gli spettatori dell’umanità.
Carol di Todd Haynes. Per la regia, la recitazione, la fotografia, la sceneggiatura. Può bastare?
Sing street di John Carney. Esci dalla sala contento, senza sentirti in colpa di uscire contento. Per una volta.
Claudio Casazza
Neruda/Il club di Pablo Larrain. E’ forse il più grande regista contemporaneo, capace ad ogni film di interrogarsi sull’immagine e sulla storia in modi sempre diversi. Questi due film sono appunto diversamente straordinari.
Il figlio di Saul di Laszlo Nemes. Una delle visioni più sconvolgenti dell’anno e con un’idea di cinema notevolissima.
Arabian Nights di Miguel Gomes. Gomes è un genio e soprattutto l’episodio 2 delle sue Mille e una notte è clamoroso, il suo fondere documentario e fiction, poesia e comicità lo rende unico.
Aldilà delle montagne di Jia Zhang-ke. Jia si conferma uno dei più importanti autori contemporanei e in questo film riesce a fare anche un discorso sul futuro molto importante.
Anomalisa di Charlie Kaufman. Kaufman è un grandissimo e questa sua dolente riflessione piena di umanità è cinema straordinario.
Ps.: Lawrences Anyways/Tom à la ferme di Xavier Dolan. Non mi ha convinto con l’ultimo lavoro ma ho voluto inserire i due suoi film “vecchi” che sono usciti per la prima volta al cinema quest’anno, due film stupendi e diversissimi di un regista con enorme talento.
NO, grazie: Captain Fantastic di Matt Ross, abominevole, finto e vergognoso.
Monica Cristini
Il condominio dei cuori infranti di Samuel Benchetrit. Perché è francese, e in quanto tale sa conciliare tragedia e sorrisi con inimitabili delicatezza e raffinatezza.
Sing street di John Carney. Perché non parla di grandi sogni, ma dà voce a un grande sogno, perché non parla di adolescenti, ma dà voce alla primavera della vita.
Ave, cesare! dei Fratelli Coen. Perché i fratelli Coen sanno come divertire senza mai perdere né ritmo, né eleganza, né acume.
Lui è tornato di David Wnendt. Perché pone un problema, perché inquieta, perché fa inorridire bilanciando ad arte finzione e realtà.
La famiglia Fang di Jason Bateman. Perché ci racconta senza moralismi come tra arte e vita ci sia un limite che, quando diventa invisibile, apre grandi orizzonti ma anche grandi drammi.
NO, grazie: Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, perché è lo squallido specchio di un’ancora più squallida umanità, che solo per il fatto di vedersi riflessa si autocompiace.
Nicola Falcinella
Paterson di Jim Jarmusch. La poesia delle piccole cose. Un delizioso film minimalista sull’amore, la quotidianità e le bizzarrie. Un regista dal tocco magico.
Monte di Amir Naderi. Se fossi nato nel Medioevo, avrei preso a martellate la montagna come fa il protagonista del film.
Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater. Prima di Boyhood, un altro ingresso al college. Linklater è unico nei dialoghi cazzeggio sull’amore.
Sully di Clint Eastwood. 155. Un numero che deve entrare nella testa. Le persone che vanno portate in salvo. L’elogio di un professionista normale che pensa sempre alla responsabilità che ha verso gli altri esseri umani.
Il libro della giungla di Jon Favreau. Come sfiorare il capolavoro con un film di effetti speciali usati bene su una storia più che spremuta, ma che ha sempre qualche sorpresa da regalare.
Manolo Farina
Little sister di Hirokazu Kore’eda. La dolcezza garbata di saper raccontare la quotidianità, attraverso lo sguardo di tre sorelle.
Un padre, una figlia di Cristian Mungiu. Conflitti e alleanze generazionali nello squallore pigro e polveroso della vita di provincia.
Alla ricerca di Dory di Andrew Stanton e Angus MacLane. Perché la memoria nasce negli abissi nell’emozione.
Animali Notturni di Tom Ford. Essere qualcosa o qualcuno è solo mera apparenza.
Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater. Una storia senza trama, perché il piacere e la frivolezza non obbediscono a schemi ottocenteschi.
NO, grazie: Francofonia di Aleksandr Sokurov. Irridere la statura di Napoleone irride l’arte stessa, che nel potere ha sempre trovato la propria cornice.
Massimo Lazzaroni
Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Una grande notizia: nonostante le tante imperfezioni è possibile fare un ottimo film di supereroi in Italia.
Liberami di Federica Di Giacomo. Documentario sugli esorcisti siciliani bello come un saggio di Ernesto De Martino.
La ragazza senza nome dei Fratelli Dardenne. L’ennesimo pedinamento riuscito dei fratelli Dardenne, una riflessione sul senso di colpa e sulla responsabilità.
Vi presento Toni Erdmann di Maren Ade. Uscirà tra qualche giorno. Lo inserisco sulla fiducia, visto in streaming in bassa definizione con sottotitoli imprecisi. Una vera rarità per questi tempi grigi: una commedia intelligente che commuove e diverte.
Sully di Clint Eastwood. Uno dei migliori film dell’ultimo Eastwood, conseguentemente uno dei migliori film della stagione.
NO, grazie: Frantz di François Ozon. Che introspezione Ozon, che bianco e nero Ozon, che personaggi Ozon, ma che due balle Ozon (e con lui tanto cinema “impegnato” francese visto nelle sale quest’anno).
Alessandro Leone
The Assassin di Hsiao-hsien Hou. Puro godimento e profonda riflessione sul racconto cinematografico.
La mia vita da zucchina di Claude Barras e Céline Sciamma. Un capolavoro, un piccolo racconto che trasuda vita.
Paterson di Jim Jarmusch. Poesia.
Neruda di Pablo Larrain. Un autentico talento, non sbaglia un colpo.
Il figlio di Saul di Laszlo Nemes. La violenza dei campi di concentramento con i campi fuori-campo. Pensavo di aver già visto tutto sull’argomento.
NO, grazie: E’ solo la fine del mondo di Xavier Dolan. Così profondo da smarrirsi.
Marco Marchetti
Al di là delle montagne di Ja Zhangke.
The Lesson – Scuola di vita di Kristina Grozeva, Petar Valchanov.
Cavallo denaro di Pedro Costa.
Revenant – Redivivo di Alejandro Gonzalez Inarritu.
Un padre, una figlia di Christian Mungiu.
NO, grazie: Il caso Spotlight di Tom McCarthy.
Samuele P. Perrotta
S is for Stanley di Alex Infascelli. Un documentario tanto semplice quanto puro. Il genio descritto nella sua umanità.
Neruda di Pablo Larrain. L’arte della narrazione a tuttotondo.
Swiss Army Man di Daniel Kwan e Daniel Scheinert. Quando il grottesco risulta il mezzo più potente per descrivere la realtà.
Veloce come il vento di Matteo Rovere. Un coraggioso film che arricchisce il panorama italiano.
Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese. Quando un film italiano porta la maschera della commedia…
NO, grazie: Suicide Squad di Tom McCarthy. Non mi pronuncio!
Giulia Peruzzotti
Il condominio dei cuori infranti di Samuel Benchetrit. Delicatessen da condominio, solo per veri intenditori.
Captain Fantastic di Matt Ross. Una famiglia così saggia e robusta quanto carente di semplici atti quotidiani. Nessuno può essere veramente perfetto.
Julieta di Pedro Almódovar. L’uni-verso femminile, così chiaro agli occhi – sempre sinceri – di Pedro.
The Neon Demon di Nicolas Winding Refn. Sovrastrutture estetiche fastidiosamente trionfanti.
Revenant – Redivivo di Alejandro González Iñárritu. Asprezza senza confini. Come direbbe il Papa sorrentiniano: “Sotto tutto quel ghiaccio può esserci Dio”.
NO, grazie: Animali Notturni di Tom Ford. Titoli di apertura esperti, per un film generalmente troppo sgonfio.
Mattia Serrago
The Big Short di Adam McKay. Intelligente e soprattutto intuitivo, calibrato per la comprensione collettiva di un problema globale di cui pochi conoscevano le origini, per via di un disinteresse che è ancor più grave della frode e che il film porta alla luce sulla struttura di una sceneggiatura meravigliosa.
Oceania di Ron Clements e John Musker. Uno dei migliori prodotti di casa Disney, ben strutturato e legato a tematiche che i film d’animazione non toccavano da tempo.
The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Un Tarantino energico, sprezzante, eterogeneo e diviso in 8 diversi characters, mescolati in un calderone che è una baita persa tra le montagne, una baita che a volere osservare con attenzione ha come ospite il Tarantino passato, il Tarantino presente e un pezzo del Tarantino futuro.
Escobar di Andrea Di Stefano. È l’anno degli Italiani! Un prodotto potente, crudo e diretto, che non celebra la vita di un narcotrafficante, ma che ne ricorda le colpe, distanziandosi da quel genere di cinematografia che spesso ritrae il criminale come l’eroe. Senza dubbio uno dei migliori film del 2016.
Franny di Andrew Renzi. Un ritratto stupendo della disperazione e della rinascita che da questa si fa spazio verso la vita attraverso la comprensione di quei pochi e importanti tasselli che costituiscono il nostro vivere.
NO, grazie: The Allegiant di Robert Schwentke. Perché è un prodotto totalmente incentrato sul guadagno e che nulla – ma proprio nulla – ha a che fare con l’atto narrativo. Bocciato.