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Le arie di Marguerite

marguerite1Anni Venti, Parigi e dintorni. Marguerite è una baronessa con la passione per il canto. Ha sposato il nobile decaduto Georges Dumont (André Marcon). Lei lo ama, lui la tradisce e non sopporta sentirla cantare. Anche perché Marguerite (una straordinaria Catherine Frot) non è intonata, le manca totalmente il dono, disarticola talmente i suoni, da provocare ilarità. Il guaio è che in tutte le occasioni in cui si esibisce a fini benefici nella sua villa di campagna, Marguerite viene applaudita dall’ipocrita aristocrazia francese e costantemente sostenuta dal maggiordomo, che la protegge da qualsiasi critica, le scatta fotografie in costumi di scena di cui la donna è collezionista, alimentando la passione per l’Opera e l’ambizione di poter un giorno calcare un palcoscenico importante.marguerite2

Il regista Xavier Giannoli mette in scena una vicenda che è prima di tutto una disperata richiesta d’amore, nella misura in cui la protagonista cerca costantemente l’approvazione di un marito lontano e bugiardo, ma anche nella straziante corsa per afferrare un’amante che ancor più si nega: l’Opera. Marguerite è la bimba aristocratica in un castello fuori dal mondo, viziata dalle menzogne dei grandi e di chi vorrebbe proteggerla dalla verità. Ispirata a Florence Foster Jenkins, che fu una “cantante” americana negli anni ’30, Marguerite evoca figure romantiche e passionali, devote all’arte fino a trasfigurare la realtà. Ma Giannoli con Marguerite non si accontenta di ridurre il racconto alla melodrammatica storia di un freak, forte dell’interpretazione colorata di Catherine Frot (che a Venezia avrebbe meritato la Coppa Volpi tanto quanto la Golino), disegna un personaggio sfaccettato, amabile, Marguerite-3inconsapevolmente congruente con il clima euforico della Parigi delle avanguardie, degli anarchici dadaisti, come il poeta Kyrill von Priest e il giornalista Lucien Beaumont, che inizialmente giocano sadicamente con la donna, vedendo in lei l’interprete ideale dei movimenti che intendevano ribaltare i codici artistici e sputare sull’altare del perbenismo borghese. In una delle più riuscite sequenze del film, Marguerite, ridicola ed eroica, si ritrova a stonare la Marsigliese in uno dei cafè-teatri in cui si consumavano provocazioni irriverenti, dove l’arte era oggetto dileggiato per colpire il cuore corrotto dei benpensanti. C’è tutta un’epoca intorno a lei e lei non ne ha percezione. L’orecchio non sente il vero ma ciò che ha bisogno di sentire, così che anche il grande Atos Pezzini (Michel Fau), maestro di canto ormai dimenticato, con la sua corte di mostriciattoli a seguito (questi davvero i Freaks di Browning), accetta la menzogna e tenta l’impossibile educazione al canto, mentre il maggiordomo allunga mazzette di banconote, apparentemente per proteggerla (come il personaggio di Von Stroheim in Viale del tramonto con Norma Desmond), invece interessato a osservarla come un oggetto d’arte da manipolare e fotografare per farne un racconto di tragica umanità in un contesto decadente.

Il melodramma è così servito magistralmente, l’eroina brucia d’amore e passione, confonde il marito vile e si sacrifica sull’altare/palco, aderente fino all’ultimo respiro al sogno dell’intonazione perfetta, sotto gli occhi scandalizzati prima e divertiti poi di un pubblico disumano. Del resto mentre  la voce graffia l’aria, i grammofoni ancora graffiavano i dischi, le avanguardie stavano graffiando l’arte, la Grande Guerra aveva sfregiato il positivismo europeo e le illusioni di perfetta bellezza.

Vera Mandusich

Marguerite

Regia: Xavier Giannoli. Sceneggiatura: Marcia Romano, Xavier Giannoli. Fotografia: Glynn Speeckaert. Montaggio: Cyril Nakache. Interpreti: Catherine Frot, André Marcon, Michel Fau. Origine: Belgio/Francia/Repubblica Ceca, 2015. Durata: 127′.

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