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L’Assassina di Hou Hsiao-Hsien

assassin_bnUn  wuxiapian? Oltre il  wuxiapianHou Hsiao-Hsien ritorna dopo otto anni di silenzio con un film che ingaggia un duello con lo spettatore: l’occhio è folgorato, il cervello chiamato agli straordinari per entrare in una storia che, pur semplice, si nega costantemente. E se la storia non si lascia decifrare per la rarefazione dei passaggi narrativi, difficoltosa è anche l’identificazione con i personaggi. La Cina del IX secolo è un’atmosfera, il genere wuxiapian un pretesto.
Una didascalia ci informa: la dinastia Tang è minacciata dalle ambizioni di alcune province. Il compito di eliminare i traditori è affidato all’Ordine degli Assassini, di cui fa parte Nie Yinniang (Qi Shu). La giovane assassina, infallibile con spade e pugnali, dopo l’apprendistato, viene destinata alla provincia di Weibo, governata dal cugino Tian Ji’an (Chang Chen), a cui da piccolissima era stata promessa. L’amore ancora forte per il cugino, sposato ma legato affettivamente alla concubina, mette in crisi la donna che ha però giurato fedeltà all’Ordine.Assassin-shu
L’incipit in bianco e nero prefigura piani temporali differenti; invece presto la vicenda si assesta sui binari di una linea narrativa da assoluto presente. La macchina da presa oscilla lentamente come fosse soggettiva di un pendolo e, dalla gamma di grigi, si sposta su un tappeto cromatico acceso; poi allarga il formato su una suonatrice di sitar, stringe di nuovo al 4:3, e nel frattempo continua ad oscillare con un movimento ipnotico, violato di tanto in tanto dall’irrompere di scene inaspettate di combattimento: spari nella quiete. Le spade incrociano le lame e i corpi coreografati su geometrie perfette, entrano ed escono nello spazio stretto di inquadrature appena schizzate. Hou Hsiao-Hsien stempera l’adrenalina per stringere su Nie Yinniang ed esplorarne l’animo in tempesta, anche quando è in quiete apparente. Shu Qi, già attrice per Hou in Millennium Mambo (2001), interpreta la parte trattenendo le emozioni, congelate nella violenza delle esecuzioni, salvo riaffiorare in prossimità di Tian Ji’an e della sua famiglia. Assente il sentimentalismo, l’amore è alluso, per nulla descritto entro margini certi. La melodrammatica della guerriera si consuma nella sola consapevolezza di un’educazione alla morte incompleta o, meglio, fallimentare: pietas contrapposta al dovere di uccidere, abiurato da Nie.
Veli e paraventi si interpongono spesso tra macchina da presa e soggetto. Il regista costringe lo spettatore a distanze quasi insopportabili, ubriacandolo con la perfezione dell’inquadratura, satura di dettagli splendidi, tanto negli interni quanto negli esterni. La provincia di Weibo è un paradiso fiabesco turbato dall’accidentale presenza umana, ingombrante con il carico di vizi e poche virtù. Sarà per questo che Hou Hsiao-Hsien non accelera mai, anzi frena e trattiene la focale – eccezion fatta per i combattimenti – senza sforzarsi di scavalcare in controcampo la scena: le lotte intestine, le ambizioni, gli opportunismi di corte, sono un teatro macabro a cui è possibile avvicinarsi solo per afferrare un’altra verità nel volto di una donna rivoluzionaria.

The Assassin, che ha meritato la Palma alla Migliore Regia a Cannes 2016, è un film affascinante, d’avanguardia dal punto di vista visivo e narrativo, e che consacra definitivamente il talento di un regista visionario, tra i pochi capaci, con l’armamentario dell’artista astratto, di tenere compatto un racconto cinematografico.

Alessandro Leone

The Assassin

Sceneggiatura e regia: Hou Hsiao-Hsien. Fotografia: Pin Bing Lee. Montaggio: Liao Ching-song, Huang Chih-chun. Interpreti: Shu Qi, Chang Chen, Zhou Yun, Satoshi Tsumabuki. Origine: Taiwan, 2015. Durata: 120′.

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