L’altro volto della speranza per il finlandese Aki Kaurismäki ha l’aspetto vagamanete fiabesco della solidarietà tra losers. Se guardiamo d’un fiato la sua ultima fatica, premiata con l’Orso d’Argento alla 67ma edizione del Festival del Cinema di Berlino, e il precedente Miracolo a Le Havre, l’impressione è che la natura della solidarietà, nel cuore d’Europa, oggi, non possa che generare fiabe moderne o struggenti drammi (Welcome di Lioret, ad esempio). Da un ragazzino profugo a Le Havre ad un siriano clandestino a Helsinki, il regista adatta la sua poetica surreale, priva di naturalismo eppure calata nel presente, per affondare una critica che non esibisce ideologie, ma la convinzione di dover raccontare sprazzi di umanità che ancora regolano i rapporti.
A Helsinki, dunque, emerge letteralmente dal nero carbone trasportato da una nave cargo il richiedente asilo Khaled, che, in cerca della sorella, finisce per lavorare nel ristorante “La Pinta Dorata”, appena rilevato da Wilkström, rappresentante di camicie, stufo del proprio lavoro e del menage coniugale. L’uomo, dopo aver vinto a poker una grossa somma di denaro, investe nel locale, una mezza fregatura arredato dal peggior architetto di interni della Finlandia. Wilkström non esiterà ad aiutare Khaled a rimanere nel paese per cercare la sorella scomparsa.
I toni sono quelli che caratterizzano da sempre il cinema del regista scandinavo, una distanza apparente dai soggetti raccontati, lo sguardo disincantato ma mai cinico, sussulti umoristici che sfregano la trama riscaldandola improvvisamente. Così come in L’uomo senza passato o in Le luci della sera, due dei migliori film dell’ultima produzione, Kaurismäki legge nei destini balordi di uomini qualunque da una parte il disfacimento del tessuto sociale, incapace di garantire supporti solidali, dall’altra la miracolosa compassione di individui marginali (o emarginati). Wilkström non è propriamente un uomo di successo soddisfatto della vita: in una delle prime sequenze del film, con asciutta risolutezza molla la fede sotto gli occhi rassegnati della moglie, seduta ad un tavolo spoglio di una cucina altrettanto spoglia. Nessun dialogo, gesti essenziali che diventano quasi comici associati allo sguardo di lei e alla decisione di seppellire la fede sotto la cenere delle sigarette. L’uomo svende lo stock di camice ancora in magazzino, con i pochi soldi gioca la partita della vita ad un tavolo di poker e investe la straordinaria vincita in un locale che nessuno avrebbe preso. Il regista mette al solito il suo personaggio in un quadro rigorosamente spoglio, dove la basilarità delle azioni definisce i rapporti con il mondo, e con i pochi attori che lo popolano, quasi tutte figure borderline, come il cuoco e i camerieri de “La Pinta Dorata”. Eppure in questa cornice periferica e desolante, entra con ben altro peso specifico il clandestino che coccia contro il sistema delle espulsioni, con un vissuto carico di drammi solo accennati, ma stratificati sul volto carico di tensioni di Khaled (Sherwan Haji). Ed è da questo contrasto, che senza artifici apparenti di scrittura, si concretizza il progetto cinematografico dell’ultimo Kaurismäki, cioè incidere con un bisturi affilatissimo il tessuto ipocrita dell’Europa, che del problema dei rifugiati non riesce a fornire risposte convincenti.
Con lo spauracchio delle minoranze arrabbiate conservatrici, degli ultranazionalisti nostalgici, dei naziskin dell’ultima ora, la Finlandia condivide con gran parte d’Europa un gergo seducente per predicare bene e razzolare male. Il regista lo racconta chiaramente con il mezzo sorriso che sorprende sempre, con i silenzi e i gesti insignificanti, sgravando la trama senza per questo sminuire il problema. E tra i grandi registi europei è forse l’unico ad esibire questo tocco raffinato. Non grida mai Kaurismäki e semmai lascia alla musica, al rock e al folk, qui suonati dal vivo, il compito di alzare o abbassare le tensioni emotive, a intervallare il flusso narrativo che, segmento dopo segmento, si inspessisce di significati e quasi finisce per lasciare più inquietudini di un film a tesi.
Alessandro Leone
L’altro volto della speranza
Sceneggiatura e regia: Aki Kaurismäki. Fotografia: Timo Salminen. Montaggio: Samu Heikkilä. Interpreti: Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Kaija Pakarinen. Origine: Finlandia, 2017. Durata: 98′.