Roma senza Roma, capitale senza Capitale. Strade anonime come fossero avanzo di civilizzazione lontana, periferie che della storia imperiale non hanno ricordo. Pura catastrofe antropologica e trionfo del pensiero debole. Sembra la fine dei tempi, più dello spettacolo di Suburra, orfana pure dell’epica al rovescio del mucchio selvaggio della Magliana. Questa Roma dei fratelli D’Innocenzo, esordienti e promettenti, vicina a quella di Claudio Caligari (Non essere cattivo, per intenderci) sembra un vicolo cieco, anzi uno spiazzo in cui girare a vuoto con un’utilitaria. Ma i giovani protagonisti de La terra dell’abbastanza non sono coatti, ma orfani in cerca di futuro sgambettati dal destino.
Mirko (Matteo Olivetti) vive con una madre debole sfiancata dagli stenti (Michela Mancini), Manolo (Andrea Carpenzano, già apprezzato in Tutto quello che vuoi) ha come riferimento solo un padre disoccupato (Max Tortora), che sognava di far parte di un cartello criminale; si conoscono che erano piccini e vorrebbero bruciare l’anno e mezzo che li separa dalla maturità per diventare indipendenti. Poi un fattaccio: investono un uomo, un pentito che vive nell’ombra e scortato, sembra la fine e invece si aprono opportunità, fa da cattivo consigliere il padre di Manolo e, privi di qualsiasi strumento di giudizio etico, finiscono in un giro malavitoso.
Film dall’impianto narrativo solido, i registi non si perdono in pipponi insopportabili sul bene e sul male e mettono a nudo personaggi (anche i minori) credibili nella loro disperazione. Manolo e Mirko, legati da profondi legami di amicizia fraterna, affondano nel presente con l’unica certezza di non potersi abbandonare, di dover obbligatoriamente condividere il percorso, fino anche a cancellare gli altri, intesi come tessuto sociale ma anche come esseri viventi. Il valore dell’esistenza è boicottato dall’indifferenza che si fa sistema logico di sopravvivenza, soprattutto dopo aver saltato il fosso senza possibilità di ritorno. Lo sguardo indifferente è al tempo stesso disperato, non ci sono risposte perché non ci sono più nemmeno le domande, solo un’inerzia che non osa chiedere più nulla. La struggente malinconia di Accattone, nostalgico di un futuro che aveva intravisto e subito fuggito, non è di casa in questa terra dell’abbastanza che invece non basta.
Definiti da stretti primi piani e soggettive che disvelano un mondo malsano di regole acquisite sulla normalizzazione della violenza, degli abusi e dello sfruttamento (rigorosamente fuori campo ma non per questo meno angoscianti), i protagonisti affondano agitando motivazioni ancora primordiali, intravedendo solo, sfocato, l’orizzonte morale che invece i registi conoscono bene. Un romanzo di formazione mancato, potremmo definire la parabola di Manolo e Mirko, ovvero un romanzo di de-formazione.
Alessandro Leone
La terra dell’abbastanza
Sceneggiatura e regia: Damiano e Fabio D’Innocenzo. Fotografia: Paolo Carnera. Montaggio: Marco Spoletini. Musiche: Tino Bruna. Interpreti: Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti. Origine: Italia, 2018. Durata: 96′.