«Quando sono cresciuti, ho smesso di amarli». Con questo commento lapidario e glaciale Lorenzo (Renato Carpentieri) giustifica la sua vita solitaria e appartata in un bell’appartamento borghese nel centro di Napoli. Lui, anziano avvocato scontroso e selvatico, non ama più i propri figli. Non ama più Elena (Giovanna Mezzogiorno), testarda e ostinata nel cercare comunque e in tutti i modi un varco affettivo per ritrovare il proprio padre, e nemmeno Saverio (Arturo Muselli), più severo e meno propenso a ricostruire il legame spezzato. L’unico con cui il protagonista cerca di mantenere i rapporti è il nipote Luca, che sottrae alle ore di lezione a scuola per portarselo con sé a spasso per la città. Ma l’amore, anche quello per i propri figli, può spegnersi, cessare. È questo che Lorenzo confessa a Michela (Micaela Ramazzotti), la nuova vicina di casa dal carattere aperto e solare con cui l’avvocato riesce ad allentare le maglie della sua misantropia. Da lei, da suo marito Fabio (Elio Germano) e dai suoi due figli, il protagonista verrà accolto come uno di famiglia, come un padre e come un nonno. E in loro cercherà quel poco di tenerezza che egli invece nega a Saverio ed Elena. Il rifiuto di amare nasconde infatti un bisogno disperato di essere amato. Mentre il ripudio del ruolo paterno cela un sentimento di inadeguatezza a svolgere quello stesso ruolo. Lorenzo ha paura che i suoi figli non abbiano più bisogno di lui e uccide i propri sentimenti per timore di dover soffrire. Non è così con Michela, donna vulnerabile e, non a caso, orfana (e dunque anche lei abbandonata, rifiutata), e neppure con Fabio, ingegnere del Nord Italia sensibile e insicuro interpretato da uno splendido Elio Germano. Perché al di là dell’apparenza serena e tranquilla di una famiglia borghese giunta dal Nord ribollono sentimenti contrastanti e fragilità emotive. E dietro alla faccia pulita dell’ingegner Fabio si nascondono traumi del passato non risolti e vertiginosi sbandamenti interiori. Anche lui, come Lorenzo, non è un buon padre («Lei è molto legato a suo nipote, è più di un padre. Io invece non riesco con i miei figli, non so mai cosa dire», dice rivolgendosi a Lorenzo) e anche lui coltiva dentro di sé la percezione della propria inadeguatezza come genitore e come marito. Eppure è proprio con Fabio e Michela che Lorenzo troverà una propria effimera stabilità, una via di fuga per il proprio bisogno di accudire ed essere accudito. Effimera, perché sarà un evento tragico, improvviso e inaspettato (ma quanto inaspettato?) a scompigliare nuovamente le carte e a porre il protagonista di fronte a una nuova svolta della sua vita.
La tenerezza, ultima fatica di Gianni Amelio, è un film sulla paura di amare e sul timore di non essere amati, sull’aridità interiore come stratagemma per mettersi al riparo dal dolore. Un tremore esistenziale che nasce dall’interno dei protagonisti ed esplode, in maniera potente e intensa, sullo schermo, trasformandosi in immagini grazie alla bravura degli attori (su tutte spiccano le prove di Renato Carpentieri e, come detto, di Elio Germano). Bravura che consiste nel saper creare uno spazio di autonomia per i propri personaggi all’interno di una cornice di sceneggiatura un po’ troppo “costrittiva”, che si esprime in alcune scene e dialoghi a tratti didascalici e ridondanti. Ma forse sta proprio qui la bravura di Amelio, nella sua capacità di lavorare con gli attori ed esprimere verità umane inscindibili dai volti e dai comportamenti a cui queste stesse verità fanno capo.
Michele Conchedda
La tenerezza
Regia: Gianni Amelio. Sceneggiatura: Gianni Amelio, Alberto Taraglio. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Simona Paggi. Interpreti: Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri, Arturo Muselli, Giuseppe Zeno. Origine: Italia, 2017. Durata: 103′.