Negli Stati Uniti del 2020 c’è una notte all’anno in cui ogni legge viene sospesa. Tutto è permesso, anche l’omicidio. Gli ospedali chiudono e la polizia e i vigili del fuoco non rispondono alle chiamate: dodici ore di violenta anarchia vengono concesse alla popolazione come una gigantesca valvola di sfogo che permette di mantenere l’ordine per tutto il resto dell’anno. Da quando i Nuovi Padri Fondatori hanno istituito “Lo Sfogo”, la criminalità è ridotta ai minimi storici, l’economia è in ripresa e gli Stati Uniti marciano a ritmo serrato sulla via della prosperità.
James Sandin (Ethan Hawke) vende sistemi d’allarme studiati per permettere a chi non vuole partecipare alla notte di violenza di barricarsi in casa, sentendosi al sicuro. James è bravo nel suo lavoro, ci sa fare. Quest’anno ha venduto più sistemi d’allarme di tutti e ha fatto un sacco di soldi. Adesso che mancano poche ore all’inizio dello Sfogo annuale è pronto a chiudersi in casa con la propria famiglia e ad aspettare che sia finita, protetto da uno dei suoi sistemi d’allarme.
Per il suo secondo film, James De Monaco allestisce una macchina dai meccanismi semplici ma dal forte impatto: c’è una notte dove può succedere qualsiasi cosa e c’è un uomo chiuso in casa assieme alla sua famiglia ad aspettare che la notte passi. I modi attraverso i quali questa situazione è stata creata hanno più a che fare con quello che il regista vuole dire attraverso la storia, che non con la storia in sé. Poteva essere una capanna in un bosco e una strega che cerca di entrare. Poteva essere una nave in mezzo al mare e un mostro enorme a nuotarle sotto. Poteva essere qualsiasi cosa.
De Monaco sceglie un approccio, verrebbe da dire, sociologico. Non è un’entità soprannaturale a mettere l’uomo in pericolo, ma sono altri uomini che sfruttano una possibilità paradossale, concessa loro dallo Stato in cui vivono. Non è solo un film horror, allora. Ma un film horror che prova attraverso il proprio genere a confrontarsi con qualcos’altro.
In casi come questi è come se ci fossero due compiti distinti da portare a termine: soddisfare compiutamente le prerogative del genere e dimostrare una tesi (o almeno porre criticamente degli interrogativi). A De Monaco il secondo compito non riesce, il primo sì. Se funzionano bene le premesse che inquadrano le scelte che i singoli personaggi devono affrontare e il prezzo da pagare per un mondo che ricorre a tali soluzioni, a De Monaco non riesce il salto dai sentimenti alla base di queste scelte alla loro elaborazione. Le domande che quel grumo di angosce porta con sé a volte trovano risposte un po’ scontate, altre volte solo altri sentimenti.
E’ invece nella gestione della tensione che il film dimostra di possedere una regia sicura di sé e capace di regalare allo spettatore le emozioni di cui va in cerca. Girato totalmente in interni (anche i primi minuti del film dove assistiamo al ritorno a casa di James possono essere considerati tali, dal momento che la macchina da presa non uscirà mai dall’abitacolo dell’auto) La notte del giudizio riesce a mantenere per tutta la sua durata le atmosfere in cui De Monaco ha deciso di muoversi, riempiendosi di una tensione costante. Il peso emotivo della violenza rimane nel film anche quando questa non si manifesta e la misura con cui sarà poi impiegata testimonia della sicurezza delle scelte di De Monaco, che avrebbe, fin troppo facilmente, potuto esagerare. Gli si perdoneranno allora volentieri e senza troppo sforzo gli scivoloni che pure ci sono e che vanno cercati dalle parti dei cliché del genere, primo fra tutti la tendenza di alcuni personaggi a ficcarsi, contro ogni logica, in situazioni evidentemente da evitare.
L’estate non è di certo la stagione migliore per il cinema, pochi film, rarissimi capolavori. In questo scenario La notte del giudizio rimane una piacevole sorpresa.
Matteo Angaroni
La notte del giudizio (The purge).
Regia e sceneggiatura: James De Monaco. Fotografia: Jacques Jouffret. Interpreti: Ethan Hawke, Lena Headey. Origine: Stati Uniti, 2013. Durata: 85′.