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La morte è un problema dei vivi

Batta un colpo chi conosce Teemu Nikki, o suo film che forse meglio lo rappresenta Il cieco che non voleva vedere Titanic, visto in concorso a Venezia qualche anno fa. Autore finlandese quasi cinquantenne, che ha all’attivo tanti cortometraggi e sette lunghi girati negli ultimi dieci anni, pur non godendo della fama internazionale del più anziano Kaurismaki, è noto per aver creato la webserie per adolescenti #lovemilla, successo clamoroso sul web. Nikki può vantare come il più celebre collega un mondo cinematografico originale, popolato da personaggi strambi, con luoghi e atmosfere ricorrenti, a tratti surreali, raccontati da una regia riconoscibile.

I due protagonisti di questo ultimo lavoro, Risto e Arto (Pekka Strang e Jari Virman), sono due losers (lo si capisce presto), emarginati dalle rispettive famiglie per motivi diversi: il primo un ludopatico indebitato che campa guidando un carro funebre, non può fare a meno di bruciare i suoi soldi e quelli della moglie giocando d’azzardo online; il secondo è un rispettato educatore in una scuola materna a cui diagnosticano una sindrome più unica che rara, ovvero la mancanza del cervello (!). La condotta patologica di Risto diventa una minaccia per il figlioletto e la moglie, che nel frattempo ha trovato un amante; la mancanza di materia grigia di Arto crea non pochi imbarazzi alla compagna, che lo scarica proprio mentre la derisione dell’intera comunità si fa umiliante. Vicini di casa ma senza rapporti, si ritrovano presto, uno senza cuore e l’altro senza cervello, anche senza casa, espulsi come corpi estranei dalle rispettive famiglie. Si mettono così in affari, assoldati da un criminale locale per far sparire i corpi di chi viene giustiziato. Le cose si complicano quando vengono ingaggiati da un’organizzazione che gestisce sul dark web un giro di scommesse su disperati che in cambio di laute ricompense si giocano letteralmente la testa in diretta streaming.

La morte è un problema dei vivi è una tragicommedia dai toni scurissimi, capace di generare una risata per soffocarla immediatamente con un pugno dritto alla bocca dello stomaco. Ironia e cinismo si mescolano sapientemente in una sceneggiatura intelligente, scritta dallo stesso Nikki che del film cura anche il montaggio. I due protagonisti sono definiti dalle loro azioni, soprattutto Risto, deviato da una patologia invincibile, contenuto a fatica da Arto, anima buona, che dal canto suo, diventa personaggio interessante non tanto, almeno all’inizio, per ciò che fa ma per ciò che subisce. La bravura di Nikki sta tutta nel sottrarre il superfluo, nella scarnificazione di dialoghi e azioni, che ha l’effetto opposto di ingigantire i suoi antieroi. Il mondo del film puzza di marcio, ha perso i colori che brillano solo nel rosso acceso del sangue prima di rapprendersi; rispetto a quello di Kaurismaki, pensiamo a Foglie al vento, manca di umanità, di solidarietà, di compassione, eccezion fatta per una scintilla finale e per la luminosità innata che caratterizza Arto. La morte come perdita, in questo mondo ghiacciato, sarebbe un problema dei vivi se ci fossero davvero persone vive; lo diventa paradossalmente solo per i criminali che i morti devono farli sparire. Il regista compie il prodigio di rendere divertente questo quadro avvilente (volutamente poco sfumato), giocando sui paradossi, operando deformazioni. Risto il cinico, l’a-morale, e Arto improvvisamente disabile e marginalizzato, persi gli ancoraggi familiari e quindi persa la confidenza con la vita, insaccano corpi morti come se stessero imbustando pezzi di fine del mondo. Una desolazione in cui non Arto, ma tutti i comprimari sembrano privi di cervello, personaggi consumati dal, o vittime del, neocapitalismo, come la donna disperata con due figli (sembra scappata da un film di Loach) che si mette in mano al caso pur di uscire dalla povertà. La vita appesa a un lancio di dadi, a un giro di roulette. Non è invece un caso che sia proprio Arto a compiere, perché senza cervello, un gesto estremo e consapevole, che lo identifica, che lo radica alla vita, che lo scuce ed emancipa dal suo tessuto sociale.
Misterioso nel suo dipanare fili di senso tra elementi del profilmico e dialoghi, improvvise svolte narrative e colonna sonora (ricercata e mai didascalica), La morte è un problema dei vivi sembra mettere in scena un organismo sociale malato e schizofrenico, incapace di orientarsi al cospetto di eventi sconosciuti e inaspettati, privo ormai di qualsivoglia struttura filosofica, semplicemente in bilico tra una straziante propensione autodistruttiva e una commovente resistenza alla morte.

Alessandro Leone

La morte è un problema dei vivi

Regia, sceneggiatura e montaggio: Teemu Nikki. Fotografia: Jyrki Arnikari. Musiche: Marco Biscarini.
Interpreti: Pekka Strang, Jari Virman, Elina Knihtilä, Hannamaija Nikander, Pihla Penttinen, Iivo Tuuri. Origine: Finlandia/Italia, 2023. Durata: 98′.

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