Ben due i titoli per l’ultimo film di Stéphane Brisé: La loi du marchée, quello francese, e A simple man, la sua versione internazionale. Perché, vien da chiedersi, non è stato semplicemente tradotto, così com’era? Per edulcorare la pillola? O semplicemente per dar credito proprio a quella legge del mercato che il titolo autoctono denuncia? Secondo il primo titolo, sembra che il problema di Thierry (Vincent Lindon) sia quello di essere un uomo semplice, alle prese con i normali problemi di tutti gli uomini semplici: trovare un lavoro, sbarcare il lunario, sopportare in silenzio le umiliazioni di chi ha più potere di lui, rassegnarsi al fatto che 51 anni sono troppi per poter ancora trovare un impiego decente, e così via. Ma in verità, e questo ce lo dice proprio il film, le cose non stanno proprio così: è quella fantomatica “legge del mercato” ad aver fatto di Thierry un uomo semplice, proprio nel senso del titolo in inglese; ad avergli imposto percorsi di formazione lunghi e costosi e ad avergli rivelato la cruda verità per cui a un investimento di tempo e lavoro molto spesso non corrisponde un risultato concreto; ad averlo costretto a subire umiliazioni di ogni tipo in silenzio, perché se non lo fai, rischi il posto o rischi addirittura che, quel posto, non lo troverai mai; ad averlo intrappolato nel paradosso per cui per qualunque lavoro è richiesta esperienza, ma è impossibile “fare esperienza”, perché nessuno è disposto ad assumere un “inesperto”. E ad averlo costretto, infine, ad accettare un lavoro che non è il suo, che non è ciò per cui si è formato, e che per giunta lo mette in condizione di andare contro ogni suo principio, o semplicemente contro i più naturali istinti di solidarietà. L’ingrato compito di Thierry è infatti quello di controllare che nell’ipermercato non si verifichino furti, ma questo vorrà dire per lui denunciare l’anziano che ha rubato la fetta di carne che non può permettersi, o la collega che ha rubato i buoni sconto dei clienti per riuscire nonostante tutto a portar la spesa a casa, alla propria famiglia. E così, sembra quasi che quell’uomo semplice del secondo titolo sia l’epiteto che proprio personaggi come l’impiegata di banca o il responsabile delle risorse umane potrebbero avergli attribuito, un’etichetta imposta da quella parte di mondo che marcia al ritmo giusto, che ha fatto di quella legge economica la propria legge morale, con l’unica preoccupazione di non essere tra i soccombenti. Quella parte di mondo che, davanti a un uomo che ancora crede nell’impegno, nel merito, nei sacrifici, nella famiglia, sa soltanto alzare il sopracciglio destro, con un’espressione di sufficienza distratta e dire, “Beh, ma quello è un uomo semplice”. Della serie: più di tanto, che cosa vuoi pretendere?
Se sulla fantomatica “crisi” tanti film sono stati tentati negli ultimi anni, forse si può dire che La legge del mercato sia proprio quello riuscito meglio, non ultimo per la sua capacità di svelare piccole crudezze, nascosti frammenti di dramma quotidiano (citiamo tra tutti A tempo pieno di Laurent Cantet, 2001), a partire dallo sguardo umiliato del protagonista fino alle stereotipie retoriche di chi sta dall’altra parte della scrivania. Perché, così facendo, quel che Stéphane Brisé ci ricorda è la natura di questa crisi: una crisi che è innanzitutto crisi di valori, corruzione di usi e costumi che si nasconde dietro i meccanismi economici per strappare un’assoluzione a poco prezzo. Una crisi che è diventata mentalità acquisita e contro la quale, anche ad averne la forza, spesso non vale più nemmeno la pena di lottare.
“Tu da che parte stai?” ci chiedeva De Gregori in una nota canzone. Qui il problema sembra essere lo stesso, e la sua tragicità emerge tutta quando, alla fine, davanti al trionfo dei valori essenziali dell’umanità e della solidarietà, quei valori in cui lui stesso crede, lo spettatore vorrebbe correre a fermare il povero Thierry perché, lo sa bene, sarà proprio lui l’unica vittima di questa piccola, violenta battaglia.
Monica Cristini
La legge del mercato
Regia: Stéphane Brisé. Sceneggiatura: Olivier Gorce, Stéphane Brisé. Fotografia: Eric Dumont. Montaggio: Anne Klotz. Interpreti: Vincent Lindon, Karine de Mirbeck, Matthieu Schaller, Yves Ory, Xavier Mathieu, Paul Portoleau. Origine: Francia 2015. Durata: 92′.