Oltreconfine: i film che non ci fanno vedere
La fille de nulle part
Regia: Jean-Claude Brisseau. Sceneggiatura: Jean-Claude Brisseau. Fotografia: David Chambille. Montaggio: Maria-Luisa Garcia, Julie Picouleau. Interpreti: Jean-Claude Brisseau, Virginie Legeay. Origine: Francia. Anno: 2012. Durata: 91 min.
Quando si parla di Jean-Claude Brisseau non vengono sempre in mente cose belle. Da noi è ancora un regista sconosciuto, distribuito soltanto una volta, nel lontano 2002, e direttamente in home video. Il film in questione era Il potere dei sensi, e dati i risultati di pubblico e critica, la distribuzione italiana pensò di non ripetere l’esperimento. In Francia gode invece di buona reputazione, grazie comunque a una cultura che ammette l’erotismo cinematografico come espressione privilegiata di un certo modo di vedere le cose, di trasgredire o semplicemente di esplorare nuove strade. Nel corso degli anni Brisseau si è costruito una solida carriera da auteur di pellicole abbastanza elitarie, essenzialmente fondate su alcuni elementi ricorrenti, che sono il sesso saffico ripreso in tutte le sue forme più esplicite, misteriose donne velate, incarnazioni del fato e della morte, sogni e apparizioni da oracolo delfico. Insomma, da uno così ti aspettavi di tutto tranne che il Pardo d’oro a Locarno 65, e invece il buon francese ha stupito un po’ tutti intascandosi un premio, con un certo gusto del paradosso, persino meritevole.
La fille de nulle part di erotico ha però ben poco. Da una parte è quasi una delusione, soprattutto dopo le orge caligoliane di Les Anges Exterminateurs (2006) e A’ l’aventure (2008), ma dall’altra riesce a essere una specie di piccola rivelazione, con i suoi ritmi geometrici, le forme pulite, le luci disposte nel modo giusto e al momento giusto . La storia è infatti quella di un anziano vedovo, Michel (interpretato dallo stesso Brisseau), che dopo una vita passata a insegnare matematica si gode la pensione scrivendo libri di filosofia. Ma ecco che un giorno una ragazza disperata, bionda e bellissima (Virginie Legeay), bussa alla sua porta. Qualcuno l’ha aggredita, Michel la accoglie in casa come un buon samaritano e lei non se ne va più via. D’altronde non ha nessun luogo dove andare, non ha famiglia, è stata in collegio fino alla maggiore età e da quel momento in poi ha sempre condiviso il divano di qualcuno, amici, amanti, amici di amici… Tra i due nasce presto una profonda amicizia, lei si chiama Dora come Pandora; sembra che vada tutto bene, ma dopo qualche tempo salta fuori che la giovinetta possiede doti paranormali, si dedica alle sedute spiritiche, solleva tavoli e fa arrabbiare i fantasmi. Qualcosa che ha a che fare con le donne velate che appaiono e scompaiono per i corridoi all’inizio del film? Esattamente.
Brisseau confeziona una storia delicata ma piena di ombre, che muta forma senza andare a parare da nessuna parte, e proprio in questo aspetto sta il pregio del film. Chi è l’enigmatica ragazza che chiede aiuto al suo mentore? Un’allegoria del destino, un’allucinazione partorita dall’uomo che si suggestiona fino a crederla reale? La speranza di una senilità priva di solitudine, un angelo custode che veglia sulla casa che l’ha così cristianamente accolta? O forse la raffigurazione più innocente del diavolo? Non lo sappiamo. Non c’è una spiegazione univoca, la pellicola si apre a numerose interpretazioni, il finale sarà anche scontato, o tirato per i piedi, peccherà di faciloneria, eppure La fille de nulle part ha una cadenza ipnotica, straordinaria, piena di umorismo e di riflessioni profonde su ciò che siamo, e soprattutto su ciò che la vita ci ha impietosamente lasciato. Poco importa che non si sveli nulla di più di ciò che già immaginiamo: la bellezza delle sue composizioni, di questi interni eleganti, il contrasto fisico tra l’anzianità scorbutica e la giovinezza libertina sono quanto basta per appagare lo spettatore più esigente.
Girare un film di un’ora e mezza, affidarlo soltanto a due personaggi e qualche comparsa, inscatolare la storia tra le pareti di un appartamento, che è poi quello dello stesso regista, non è operazione facile, ma il suo demiurgo centra l’obiettivo senza mai scadere nel pruriginoso o abbandonarsi a lungaggini di sceneggiatura. Resteranno forse amareggiati i seguaci del Brisseau più ortodosso, cioè quelli che speravano di vedere il sesso nudo e crudo grazie al quale il regista francese è balzato agli onori della cronaca festivaliera internazionale: qui c’è soltanto un breve interludio lesbico tra la protagonista e una figura femminile non meglio specificata. Poca carne al fuoco, un seno che sbuca fuori da un accappatoio, provocazioni ambigue che non si capisce a che cosa servano, ma grande accuratezza nel suggerire ciò che alla fine non si vede né si intuisce.
Marco Marchetti