“Fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”, diceva D’Annunzio. Ecco forse a che cosa ha pensato Jason Bateman, quando ha deciso di girare e di interpretare il suo ultimo, strepitoso film, La famiglia Fang. Perché i quattro componenti di questa strana famiglia, Caleb (Christopher Walken), Camille (Maryann Plunket) e i due figli Annie (Nicole Kidman) e Baxter (Jason Bateman) da sempre non fanno che questo: trasformare la loro vita in un’opera d’arte, in un palcoscenico, cancellando ostinatamente il sottile confine che divide recitazione e azione, fantasia e realtà, immaginazione e visione. Può essere una finta rapina, ad esempio: l’importante, per riuscirci, è calarsi tanto nella parte da non dover più recitare la propria morte, perché, dentro, ci si sente morti per davvero. Solo così, solo quando l’immedesimazione è tale che personaggio e attore non si distinguono più, solo allora è raggiunta la perfezione stilistica e l’opera d’arte è riuscita. L’art pour l’art direbbe Théophile Gautier: non importa cosa, importa soltanto il come, basta che il meccanismo sia perfetto. Ma affinché il meccanismo sia perfetto, bisogna badare ai dettagli, a ogni singolo particolare, senza tralasciare nulla, senza che rimangano anche solo minuscole sbavature. Perché una sbavatura, per quanto minuscola, per quanto impercettibile, può rovinare tutto, può far crollare un’immensa opera come un castello di carte, restituendo la vita alla vita con tutta la sua durezza, meschinità, crudeltà, fatta di piccoli e grandi vizi necessari a sopravvivere e di un’urgenza di normalità che sfocia quasi nella patologia.
La famiglia Fang apre una serie di interrogativi: fino a che punto un uomo può inseguire la propria arte? A che prezzo? E se quest’uomo è anche padre, ha diritto di farlo? E se sì, in che misura? Dove finisce il gioco e dove inizia la psicosi? Dove finisce l’arte e comincia la tortura? Interrogativi che ci richiamano figure note e controverse come quella di Picasso, per esempio, e che mettono in gioco un più ampio e da sempre discusso rapporto tra arte e moralità, tra genio e comunità: per essere un grande pensatore o un grande artista, si può essere un cattivo genitore, un cattivo amico, un pessimo amante? È possibile distinguere l’artista dall’uomo? Fino a che punto? O ancora, è possibile giudicare lo spirito estetico in base a categorie etiche?
La capacità di Jason Bateman è quella di non dare troppo facili, troppo rapide risposte: non salva, non condanna. Mostra lati oscuri, angoli grigi, increspature di una sofferenza che alla fine comunque non risparmia nessuno, ma non c’è bianco o nero, giusto o sbagliato una volta per tutte. Non c’è peccato e non c’è redenzione, ma c’è l’occasione di guardare da vicino, da molto vicino.
Monica Cristini
La famiglia Fang
Regia: Jason Bateman. Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire. Fotografia: Ken Seng. Montaggio: Robert Frazen. Interpreti: Jason Bateman, Nicole Kidman, Christopher Walken, Marin Ireland, Michael Chernus. Origine: Usa, 2016. Durata: 105′.