È stato presentato al 50° Forum della 70° Berlinale il film La casa dell’amore di Luca Ferri. Si tratta del capitolo conclusivo della “trilogia dell’appartamento” del regista bergamasco, composta anche da Dulcinea (2018) e Pierino (2018). Una tappa interessante nel percorso dell’appartato autore, che si muove in territori tra il documentario, la finzione e la sperimentazione, con titoli come Habitat Piavoli, Una società di servizi, Abacuc e Colombi.
Il luogo del titolo è l’abitazione di una transgender di Milano, Luce Dolce Miele, che si prostituisce in casa. Stanze visitate da ospiti che fanno discorsi religiosi (i passaggi del Vangelo in cui si parla di prostitute), filosofici o bizzarri, oppure l’anziano che intona una canzone popolare milanese, che fissano appuntamenti telefonici o che consumano rapporti nell’ombra. Intanto la protagonista cerca invano al telefono la fidanzata Natasha che sta in Brasile.
Ferri mette in scena, con grande cura formale, una vicenda di ossessione e solitudine ma a suo modo di vitalità, dentro una casa dove tutto è vecchio e immutabile da tempo, tappezzata di manifesti delle mostre del padre artista. Emergono anche l’ironia (“sono più comoda dell’autogrill”, sottolinea al cliente a cui ha spiegato il modo di raggiungerla) e la dolcezza della protagonista, il cui nome dice molto.
La trilogia ha uno sguardo preciso, e in apparenza inscalfibile, su ciò che accade tra le mura delle abitazioni dei protagonisti. Ne La casa dell’amore, che rappresenta una tappa interessante nell’evoluzione del suo percorso, il regista mostra però meno distanza e più empatia rispetto ai protagonisti, soprattutto rispetto a Dulcinea. Il lavoro più vicino a questo è, pur nelle differenze, Pierino, con il quale presenta parecchie analogie, dalle ossessioni (anche verso i genitori), la ritualità, le preparazioni meticolose dei personaggi a ogni incontro o uscita di casa.
Con gli altri episodi della trilogia c’è in comune il luogo sprofondato nel passato, che quasi rifiuta il presente, come era del resto già Colombi. Da sottolineare l’uso diverso dei formati: se per questo Ferri ha utilizzato una camera digitale, Dulcinea era in pellicola 16mm e Pierino realizzato in vhs, mantenendo il 4:3 più adatto agli interni. Resta costante il rigore delle riprese, composte quasi esclusivamente di piani fissi, con poche panoramiche a scoprire l’appartamento. Un film bello e spiazzante, che passa da diversi toni con lo stesso sguardo distaccato, ma riesce a restituire la complessa personalità della protagonista.
Nicola Falcinella
La casa dell’amore
Regia: Luca Ferri. Fotografia: Andrea Zanoli, Pietro De Tilla. Montaggio: Chiara Tognoli. Origine: Italia, 2020. Durata: 78′.