Remake di un misconosciuto film americano del 1977, Knock Knock rappresenta il sogno (e l’incubo) del medio padre di famiglia, ovvero ritrovarsi in casa da solo in una serata di pioggia battente, moglie e figli lontani per lavoro, e venire brutalmente sedotto da una coppia di disinibite ventenni apparsa senza apparente motivo alla porta di casa. In questo thriller di Eli Roth, regista del quasi coevo Green Inferno, a farne le spese è un redivivo Keanu Reeves, architetto, un tizio che dalla vita ha avuto tutto, moglie bellissima, figli perfetti, una casa da sogno piena di cose superflue, una buona salute, eppure nulla di ciò che possiede gli basta per davvero. Per questo non ci pensa due volte a dare ospitalità a due ragazzette mezze biotte (Ana de Armas, la bionda; Lorenza Izzo di Green Inferno la bruna), che con la scusa di essersi smarrite gli si intrufolano in casa, nell’attesa che il buon proprietario gli asciughi gli indumenti e chiami loro un taxi. Comincia un gioco perverso di seduzione, ammiccamenti e strizzatine d’occhio, e nel giro di un quarto d’ora la piovigginosa serata si trasforma in un’orgia selvaggia, con tanto di quadretti famigliari che ruzzolano per terra perché colpiti dagli affondi ferini dei partecipanti. Fine prima parte.
La mattina successiva, il nostro architetto si sveglia in preda ai sensi di colpa, ma purtroppo le ragazzine non se ne sono andate, gli preparano la colazione, schiamazzano, urlano e lo tormentano. Lui cerca di mandarle via, ma quelle non ne vogliono sapere. E se non avessero vent’anni, come avevano dichiarato in un primo momento? Se non fossero nemmeno maggiorenni? Roth, aiutato dai suoi collaboratori di vecchia data, Guillermo Amoedo e Nicolás López, costruisce una storia tesissima la cui genialità sta tutta nel ribaltamento degli ormai abusati stereotipi riguardanti la violenza sui minori. In una società di braghettoni che santifica l’adolescente e condanna l’adulto che lo concupisce, cosa potrebbe succedere se accadesse il contrario: cioè se fossero i minori a sfruttare le leggi a loro protezione per accusare il maggiorenne e ricattarlo nel modo più spregevole? Eli Roth lavora su queste domande, esplora i lati più oscuri della sessualità umana, trasforma la casa dell’architetto in un’architettura psichica di perversioni, impulsi diabolici, esplosioni di eros e thanatos che si annullano reciprocamente.
Certo l’interesse sociologico è tutto di facciata, come d’altronde lo era per Hostel, perché Eli Roth concepisce il suo film come la proverbiale palla di neve che innesca la valanga: nel momento in cui lo sprovveduto proprietario accetta le regole del gioco, facendosene soggiogare, divenendo inconsapevole schiavo delle due ospiti, la tragicità delle conseguenze si fa consustanziale alle sue scelte, alle debolezze della carne come a quelle dello spirito. È l’anarchia ad accendere la fantasia degli abili sceneggiatori, l’assenza di regole o la riscrittura delle stesse secondo principi deviati, l’idea che l’orrore non sia altro che l’inscenare la necessità di perversione che ognuno di noi si porta dentro.
Peccato che ogni strappo alla regola contempli un’imprescindibile punizione, e in Knock Knock di perversioni se ne vedono di cotte e di crude: la biondina lega Reeves al letto e lo cavalca travestita da bambina. Lui fa resistenza, ma lei lo azzittisce mettendogli le mutandine in bocca. Peccato che le mutandine siano di sua figlia. La bruna riprende tutto con l’iPhone e minaccia di caricare in rete…
Marco Marchetti
Knock Knock
Regia: Eli Roth. Sceneggiatura: Eli Roth, Guillermo Amoedo, Nicolás López. Fotografia: Antonio Quercia. Montaggio: Diego Macho. Musica: Manuel Riveiro. Interpreti: Keanu Reeves, Lorenza Izzo, Ana de Armas. Origine: USA, 2015. Durata: 99′.