David Gordon Green, regista dell’Arkansas, ha passato gli ultimi due anni a presentare film a Venezia: il più recente è Manglehorn con Al Pacino, la cui distribuzione sul territorio italiano non è stata ancora fissata; l’altro è appunto questo Joe, proiettato in anteprima mondiale durante la penultima edizione del festival. In rete se ne parlava già da un po’, ma per motivi come sempre impossibili da chiarire, la pellicola con Nicolas Cage è rimasta intrappolata nel limbo sonnolento dei mai nati, quel contenitore dove si butta tutto ciò che non deve essere buttato ma che non vale nemmeno la pena di recuperare. In effetti Joe è un film un po’ traballante, tratto da un vecchio romanzo di Larry Brown, sceneggiato benino da Gary Hawkins, ma abbastanza indeciso nell’esaudire le sue numerose promesse, in primis colpire lo spettatore con un bel calcio negli stinchi. L’idea era infatti quella di offrire uno spaccato sociale del sud degli Stati Uniti, con le foreste, le regole spietate dei tagliaboschi, la noia della provincia spruzzata di cattiveria, razzismo e sospetto per il diverso; il risultato è invece quello di dipingere un finto antieroe (il Joe del titolo, interpretato nel modo migliore da Nicolas Cage), che si mette nei guai con la legge senza di fatto procurare alcun problema alla polizia: d’accordo, in una scena permette al proprio cane di sbranare quello dell’amica prostituta, ma era un cane rognoso e cattivo, in fin dei conti se lo meritava. In questa cittadina di provincia, abitata da ubriaconi, boscaioli ruvidi e sgraziati, camionisti e picchiatori da sabato sera, un combattimento tra bestie non è certo una ragione plausibile per prendersela con l’unico personaggio autenticamente onesto della combriccola. Un giorno però arriva in città il giovane Gary (Tye Sheridan), un quindicenne vittima di un padre alcolizzato, violento, ladro e pure assassino. La famiglia di Gary vive in una baracca, la sorellina non parla perché chissà che cavolo ha visto fra quelle quattro mura, la madre se ne frega e l’unico che lavora nelle foreste è proprio il ragazzino. A occuparsi di lui è naturalmente Joe, l’organizzatore di combattimenti canini, il beone dalla faccia pulita e di buoni principi, il provinciale che dei redneck ha solo la fama.
Di primo acchito, il film di Green ricorda un po’ l’abbastanza recente Esher è stato qui di Spenser Susser, ma in effetti la struttura è più complessa e raramente si cade nel banale. Il problema principale di Joe è semmai il ritmo da prodotto medio del Sundance, sguardi sul paesaggio, frasi ridondanti, inutile sperperio di potenziali momenti d’azione. Lo spettatore non si può accontentare di una faccia rotta a legnate, di un disgraziato che ammazza un vagabondo per rubargli i risparmi o picchia il figlio dopo aver fatto il pieno di vodka, a meno che non ci sia una cornice narrativa dove inserire tutte queste premesse. Green punta il suo potenziale sul “film d’atmosfera”, forse per rifarsi delle regie precedenti (Strafumati, 2008; Lo spaventapassere, 2011), forse perché in quei posti maledetti da Dio lo stesso regista ci è cresciuto. In ogni caso la sua penultima opera ricade benissimo tra quelle pellicole senza infamia e senza lode, né belle né brutte, né piacevoli né pruriginose. È sociologia spicciola, la sua, mostri cresciuti da mostri che spaccano, odiano, umiliano perché tutto ciò che l’America ha offerto loro è in buona sostanza la possibilità di scelta tra la bottiglia e gli alberi da tagliare. La storia d’amicizia tra Joe e il suo giovane protetto segue le regole classiche del romanzo di formazione: l’adulto imperfetto che raggiunge l’espiazione per i propri misfatti (ma quali con esattezza?) e finisce per diventare quel premuroso genitore che non è mai stato; il ragazzino cresciuto troppo in fretta costretto a entrare prepotentemente nell’età adulta. Una solida regia, qualche lacrimuccia al punto giusto, un po’ di sana violenza a condire il tutto come la maionese sulle patatine fritte. O forse a nascondere il sapore di cibo surgelato.
Marco Marchetti
Joe
Regia: David Gordon Green. Soggetto: Larry Brown. Sceneggiatura: Gary Hawkins. Fotografia: Tim Orr. Montaggio: Colin Patton. Musica: Jeff McIlwain, David Wingo. Interpreti: Nicolas Cage, Tye Sheridan, Ronnie Gene Blevins, Heather Kafka, Sue Rock. Origine: USA, 2013. Durata: 117′.