Non sarà forse il miglior Loach, ma questo Jimmy’s Hall afferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che il regista britannico non ha smarrito la voglia di schierarsi, di prendere posizione, di farlo in un momento cruciale per l’Europa (e non solo), in cui al centro del dibattito ci sono le libertà individuali.
Jimmy Gralton non è un personaggio di fantasia, ma un uomo che, dopo un esilio forzato di dieci anni a New York, nel 1932 ritorna in un’Irlanda ancora traumatizzata dalla guerra civile, per affermare il diritto di poter fare aggregazione sociale. La Jimmy’s Hall, o meglio la Pearse-Connolly Hall, è un dancing, ma anche un luogo dove praticare altre passioni, dove sognare futuri migliori e scambiare idee politiche, dove trasformare delle semplici conoscenze in legami forti. Il sospetto che la Hall possa essere espressione di idee comuniste e che Gralton faccia proselitismo, seducendo i giovani con passi di danza importati dagli Stati Uniti, induce la Chiesa e la Destra locali a schierarsi in aperto contrasto con Jimmy, fino addirittura a minacciarlo con un nuovo decreto di espulsione, con il beneplacito del governo centrale.
Ken Loach, tornando alle atmosfere de Il vento che accarezza l’erba (film ben più crudo e dai toni assai più cupi), intende come sempre rivolgersi in maniera scoperta al pubblico contemporaneo, per ribadire che le conquiste del secolo precedente sono arrivate attraverso lotte dolorose. In Jimmy’s Hall pone l’accento su una storia minuscola rispetto al racconto della guerra civile, trovando però nella vicenda di Gralton, fino alla sua espulsione dal paese, i segnali evidenti di uno scontro inevitabile e che sarebbe deflagrato nella sua tragicità in tempi più recenti. La piccola contea di Leitrim porta i segni della guerra soprattutto nelle coscienze, ma anche nelle paure inconsce e irrazionali di chi pensa di custodire la pace svilendo le giuste ambizioni dei giovani, poco disposti ad accettare costrizioni illiberali o i lacci stretti e mortificanti del cattolicesimo più bieco. Loach non risparmia nulla nel mettere in scena il giogo della Chiesa Cattolica, arrogante nel considerare l’istruzione come sua prerogativa, soprattutto dopo che il Congresso Eucaristico del 1932 sancì l’alleanza tra governo e gerarchie ecclesiastiche.
Sceneggiato con l’inseparabile Paul Laverty, che rinuncia in parte all’ironia che solitamente contraddistingue i suoi script, Jimmy’s Hall soffre la poca profondità di alcuni personaggi di contorno (i ragazzi del dancing sono per nulla sfaccettati ma si riducono a funzioni narrative), come pure gli antagonisti (eccezion fatta per padre Sheridan), sagome senza spessore in rappresentanza di una destra fascista, che non aspetta altro che far fuori i nemici politici.
La grande storia è un’eco marginale, rievocata di tanto in tanto negli scenari già visti ne Il vento che accarezza l’erba, che ritornano protagonisti, come fosse questo il terzo tempo del film precedente.
Vera Mandusich
Jimmy’s Hall
Regia: Ken Loach. Sceneggiatura: Paul Laverty. Fotografia: Robbie Ryan. Montaggio: Jonathan Morris. Musica: George Fenton. Interpreti: Barry Ward, Simone Kirby, Jim Norton, Francis Magee. Origine: GB/Francia, 2014. Durata: 109′.