Bourne, il perfetto esempio di quanto succede a voler portare ciecamente avanti una saga che ha già toccato il suo apice e che avrebbe – e sottolineamo avrebbe – già dovuto vedere il suo epilogo. Il primo capitolo della saga dell’ex agente dell’Intelligence, Jason Bourne (Matt Damon) fu un pezzo di rara bellezza quando, nel lontano 2004, approdò nelle sale. La trama aveva uno sviluppo originale, dinamico ed emozionante, i ritmi del racconto erano ben calibrati allora. Era davvero un bel prodotto. Poi fu la volta del secondo capitolo, già inferitore al primo, ma seguito necessario e a tratti piacevole; poi del terzo e infine, quando la macchina della saga Bourne avrebbe dovuto fermarsi, fu la volta di un anonimo e assolutamente inutile quarto capitolo, nel quale – per intendersi – Matt Damon non era nemmeno il protagonista.
E ora? Beh, ora, dopo una lunga pausa che lasciava sperare che i creatori di Bourne avessero compreso che fosse arrivato il momento di fermarsi, ecco l’ennesimo sequel, un sequel che avrebbe davvero potuto dare molto, magari stravolgendo quanto precedentemente visto e approcciando un nuovo corso narrativo, ma che, invece, riconferma ogni nota dolente tristemente attesa e a giustificare quanto detto le motivazioni sono davvero, davvero moltissime. Partiamo dalla trama? Chiaramente è sempre la stessa: Bourne viene a sapere di nuove notizie in merito al suo passato e il conflitto con l’intelligence si riapre. Ancora una volta i piani alti giocheranno col protagonista la carta del soldato patriottico che deve rientrare per un nuovo inizio e ancora una volta Bourne si fingerà combattuto in un suo personalissimo conflitto interno che, se analizzato anche superficialmente, rivela uno spessore pari a zero.
Cambiano i volti, ma i ruoli restano esattamente gli stessi. Gli antagonisti principali restano i pezzi da novanta della CIA; il ruolo della ragazza che si ribella al sistema e accorre in aiuto dall’interno dell’agenzia – Nicky Parsons nei precedenti capitoli – viene rimpiazzata dalla nuova arrivata Alicia Vikander; il ruolo dell’impiccione, che vuole premurarsi di far trapelare verità nascoste e che per le stesse verrà ucciso innescando il corso degli eventi, si tramuta dal giornalista di The Bourne Ultimatum, Simon Ross, nell’hacker Christian Dassault; l’acerrimo nemico che nei capitoli precedenti fu, in ordine cronologico Il professore (Clive Owen) – in The Bourne Identity – e Kirill (Karl Urban) – in The Bourne Supremacy – è ora Vincent Cassel. Nemmeno lo stesso Jason Bourne (Matt Damon) è cambiato. Non c’è stato un solo crollo psicologico di spessore a sostenere quell’allontanamento dalla “vecchia vita” che il nuovo capitolo vorrebbe rappresentare.
Certo, squadra che vince non si cambia, ma a tutto c’è un limite. La sceneggiatura è inesistente e i personaggi sono più piatti di un sottobicchieri, ricamati a forza su quei vecchi characters che avevano reso famosa la saga.
Gli effetti speciali e l’inserimento del fattore stunt/spettacolo sono certamente di livello – come in ogni capitolo dedicato a Jason Bourne –, ma una buona sinergia tra sonoro, montaggio ed effetti speciali non basta a rendere un film un successo, e questo perché – sostanzialmente – manca il film, manca la novità, manca il fattore più importante che dovrebbe spingere alla visione: la motivazione! Perché guardare questo film? Dopo aver assistito alla proiezione questa domanda resta ancora priva di risposte e questa è la prova certa di una mancanza latente che, da più capitoli, resta solidamente ancorata nel cuore di una storia che non funziona più da tempo. Più che definirsi un sequel, il Jason Bourne girato dal regista Paul Greengrass ha più l’aspetto di un lunghissimo contenuto speciale, che di essenziale o curioso non aggiunge nulla, sminuendo un’idea che ai suoi esordi esaltò molti cinefili in tutto il mondo e che, specie per i più appassionati, scatena più rabbia e delusione che lo stato di esaltazione ricercato.
Mattia Serrago
Jason Bourne
Regia: Paul Greengrass. Sceneggiatura: Paul Greengrass, Christopher Rouse. Fotografia: Barry Ackroyd. Montaggio: Christopher Rouse. Musiche: John Powell, David Buckley. Interpreti: Matt Damon, Tommy Lee Jones, Vincent Cassel, Julia Stiles, Alicia Vikander. Origine: USA, 2016. Durata: 123’.