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Italy in a Day

ita in a dayIl cinema italiano ha fatto davvero fatica a trovare la propria strada negli ultimi anni. Alla ricerca di un’identità sostanzialmente oscurata da un magnifico passato che rende mortificante ogni confronto, i registi nostrani sono rimasti invischiati in trame spesso non convincenti e in una placida (vana) ricerca di nuovi registri linguistici. Eppure, anche in questa landa desolata, qualche eccezione di tanto in tanto è emersa. Proprio da questi rari fiori del deserto si è formato pian piano l’humus che ha dato origine all’odierno fenomeno di “rinascimento” del cinema italiano. Quello che riesce a vincere importanti premi internazionali per intenderci. La formula del successo sembra essere fortemente legata alla capacità di trovare un frammento del mondo quotidiano e saperlo raccontare attraverso la macchina da presa. Naturalmente esistono anche straordinari esempi di approcci più personali all’arte cinematografica, dei quali troviamo massimi esponenti nei maestri Garrone e Sorrentino. Interessante notare come negli ultimi anni gli autori abbiano cercato di avvicinarsi nuovamente alla realtà, scendendo un gradino dopo l’altro la fascinosa e scivolosa scala del successo perché solo stando con i piedi per terra si possono vedere le cose da una giusta prospettiva.salvatores
Proprio in questo contesto assume un notevole significato la scelta di riproporre in chiave italiana l’esperimento targato Kevin MacDonald Life in a Day. Si tratta semplicemente di chiedere agli abitanti di un paese di filmare pochi minuti della propria giornata, facendo così da testimoni ad una determinata realtà sociale e/o personale. Il regista premio Oscar Gabriele Salvatores lancia l’appello durante lo scorso settembre, chiedendo agli italiani di raccontare la loro giornata del 26 ottobre e le persone raccolgono la sfida con entusiasmo. Qui già si può percepire una differenza con il modello del regista statunitense. La volontà non è quella di creare un grande progetto social, di creare un affresco ampio tanto da poter essere definito “film globale”, ma quella di riuscire a rappresentare un patrimonio identitario che accomuna tutti i frammenti del mosaico. Soprattutto emerge la sorpresa di Salvatores nello scovare un’Italia profondamente diversa dalle aspettative, nello scorgere un’umanità parzialmente sconosciuta, che riesce a mettere da parte gli sterili esibizionismi per lasciare spazio all’autenticità del ragionamento, del pensiero. Non vi è quasi traccia della caratterizzazione trash dei video tipica dei portali web, quali per esempio YouTube, che era stato produttore principale della versione americana del progetto. iid
Gli italiani che hanno scelto di partecipare (più di 44.000 video sono arrivati alla redazione) hanno trovato uno spazio per tornare ad esprimersi, nella speranza di recuperare un’occasione e far sentire davvero la propria voce. Il cinema va quindi a riordinare il caos dell’espressione tramite social media, nei quali trionfa sempre chi grida più forte, sovrastando il rumore dell’eccesso di democrazia. Come un direttore d’orchestra Salvatores armonizza il materiale, ricreando l’arco narrativo della natura che accompagna l’uomo dalla nascita alla morte, in un teatrale e perfetto susseguirsi di albe e tramonti. Anche se ciò che resta è solo il prisma luminoso di centinaia di giorni in un lasso temporale di sole 24 ore, rimane la certezza di un cinema che si fa nuovo, più attento alle esigenze di un popolo che, seppur ferito, non cessa di credere nel senso più ampio del termine.
Indubbiamente va anche segnalato che Italy in a Day nasce da un’importante campagna pubblicitaria della Rai che, oltre a promuovere l’iniziativa attraverso spot, nei quali si spiegava l’intento del progetto, ha anche partecipato alla produzione del film assieme ad Indiana Productions e a Ridley Scott (già produttore della versione americana del 2011). Diversamente da Life in a Day, reso liberamente disponibile su YouTube, la pellicola collettiva nostrana è stata diffusa, a meno di un anno dalla sua creazione e a meno di un mese dalla sua presentazione al festival di Venezia, sulla terza rete della Rai in prima serata e senza interruzioni pubblicitarie. Speriamo che questa scelta, oltre ad essere un’astuta trovata di marketing, rappresenti anche una nuova tendenza a sostegno della diffusione del buon cinema.

Giulia Colella

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