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“Io e te”: ritorno di un maestro

Giovedì 25 ottobre il cinema di Bertolucci, dopo il debutto a Cannes nel maggio scorso, è approdato finalmente in sala con un nuovo piccolo capolavoro. Io e te il titolo del film che rompe anni di silenzio nella produzione del regista, dopo l’ormai quasi leggendario The dreamers. E anche questa volta Bertolucci non delude, anche se non è semplice spiegare il perché.

È un bel film, un bellissimo film. Ma perché? La risposta non è a portata di mano: non è nella storia, non è negli attori, non è nella morale, non è nella tecnica. Non è in una di queste cose, non è nella loro somma, né nel risultato di questa somma, ma è nel film “tutto intero”, si potrebbe dire. Si potrebbe dire che il bello di questo film è che è perfetto così com’è. Che ogni cosa è esattamente al suo posto, che non c’è un solo dettaglio che stoni. Che questo film vive di un’anima in equilibrio perfetto, un equilibrio da equilibrista, di quelli che cadere è facilissimo, scadere di più, e l’arte sta proprio nel salvarsi sempre in tempo, nel fermarsi un istante prima. Non è mai semplice parlare della nostra attualità, e ancor meno parlare dei giovani, degli adolescenti, senza essere retorici, senza sfruttare stereotipi peraltro difficilmente evitabili. Ma Bertolucci ci riesce: ci parla di un quattordicenne solitario e un po’ emarginato, preda di tutte le tipiche turbe dei quattordicenni solitari e un po’ emarginati; ci parla di una giovane ragazza sola, tossicodipendente, che lotta con la solitudine e con la droga; e ci parla del loro bizzarro incontro, di una settimana di vita/non vita insieme, in una cantina che è quasi un limbo, sospesa a metà tra presenza e assenza. Ne abbiamo visti tanti di film sull’adolescenza, sui giovani, su famiglie ricche e infelici, sull’incomunicabilità genitori-figli, scuola-figli, sul bisogno di evasione, così come abbiamo visto altrettanti film sulla droga, sulla dipendenza, sulla voglia di smettere e sulla difficoltà di riuscirci. Ne abbiamo visti tanti, forse fin troppi, ma Io e te, nell’essenzialità che è anche quella del titolo, nell’eleganza con cui si muove tra vicende un po’ torbide e senza alcuna straordinarietà, nella delicatezza con cui sta sempre al limite, nella discrezione con cui non si lascia mai andare ad un giudizio, è uno dei pochissimi che funziona, perfettamente.  Potremmo quindi dire che ci piace la storia, perché è semplice senza essere banale, che ci piacciono gli attori, perché in quei ruoli non potremmo immaginare nessun altro, che ci piace la musica e che la fotografia è impeccabile come sempre. Ma quel che forse è il maggior pregio di questo film è proprio quel senso di insipido che ci lascia ogni analisi del genere, ché se lo smontiamo ci sembra quasi di non avere più il film, e rimaniamo con tanti tasselli precisi, puliti, ma non eccezionali,  perché la loro eccezionalità è nel funzionare insieme, senza prevaricarsi a vicenda, senza narcisismi o eccentriche velleità. In fondo, è quel che accade in ogni film di Bertolucci: da Ultimo tango a Parigi a Piccolo Buddha, da Novecento a Il tè nel deserto, da L’ultimo imperatore a The dreamers il regista non ci ha mai soltanto raccontato una storia, non ha cercato di darci una lezione, non è mai ricorso ad evidenti virtuosismi tecnici, ma ha sempre solo cercato di farci guardare, di aprire uno scorcio nitido e saturo sul mondo, su uno dei tanti possibili mondi.

Un film da vedere dunque, da vedere e basta, che in fondo è l’unico, vero senso del cinema.

Monica Cristini

Io e te

Regia: Bernardo Bertolucci. Sceneggiatura: B. Bertolucci, Niccolò Ammaniti, Umberto Cantarello, Francesca Marciano. Fotografia: Fabio Cianchetti. Montaggio: Jacopo Quadri. Interpreti: Jacopo Olmo, Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco, Pippo Delbono. Origine: Italia, 2012. Durata: 

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