Giornalista e critico cinematografico, scrive per i quotidiani La provincia di Como, Metro e Il manifesto, il settimanale svizzero Azione, il periodico Cinecritica, www.balcanicaucaso.org. Due libri di cinema, Agnès Varda. Cinema senza tetto né legge (Le Mani, 2010) e Alida Valli. Gli occhi, il grido (Le Mani, 2011).
Redazione: Il termine “criticare” in italiano ha un’accezione tendenzialmente negativa, nella migliore delle ipotesi si ritiene che la figura del critico si limiti a giudicare il lavoro altrui, ma per te qual è il ruolo sociale della critica cinematografica?
Nicola Falcinella: Sì, oggi la parola critica ha quasi esclusivamente una connotazione negativa. Però per Kant, uno dei fondatori del pensiero occidentale moderno, critica era inteso come analisi, come interrogarsi sulle cose. Credo che la critica cinematografica o letteraria o musicale o d’arte vada intesa in questo senso. Oggi più che mai (ma lo osservava già Truffaut anni fa) tutti si sentono critici cinematografici, tutti autorizzati a emettere giudizi secchi sui film, a fare gli esperti, a non considerare il parere altrui. Cosa che non mi sembra accada, o non in questo modo, per la musica o la letteratura. Va anche detto che i giornali hanno già in passato alimentato questa tendenza e confusione affidando la critica a scrittori di nome con poche conoscenze specifiche di cinema o a giornalisti di costume o di politica. Basta sfogliare Repubblica per rendersene conto. Valutare un film non è solo questione di gusto personale. Quante volte si sente dire “non è il mio genere”? Quando lo si sa leggere e cogliere, si può apprezzare un film riuscito anche se non è il proprio genere.
Secondo me il critico non è il possessore della verità, ma è uno spettatore privilegiato, privilegiato nel senso che può accedere a materiali che lo spettatore non ha, magari avere il tempo di riflettere sul film, approfondire, conoscere gli altri lavori del regista, degli sceneggiatori, degli attori, trovare i collegamenti con altri film. Compito del critico, più che dare voti o stelle, è consigliare delle buone e utili visioni e offrire delle chiavi di lettura che magari lo spettatore non di professione non riesce a cogliere da solo. Può segnalare film piccoli, che non hanno alle spalle grossi investimenti pubblicitari e che faticano a farsi notare, a volte vengono scoperti dagli spettatori quando non sono più in programmazione, ma qui andremmo a trattare un tema ancora più complesso legato alle sale e ai meccanismi distributivi. Il lettore che vuole essere uno spettatore informato dovrebbe leggere più voci prima di scegliere un film, magari non avere un critico di riferimento, ma riconoscerli, distinguere quelli affidabili da quelli superficiali (che non approfondiscono o che criticano tutto o al contrario elogiano tutto), dove scrivono (la tendenza politica, sempre che abbia ancora un senso, o una testata generalista o con un target molto preciso) e farsi un’idea. Si può anche non leggere nulla prima di vedere un film e confrontare la propria opinione a posteriori: questo credo sia un modo più istruttivo.
Il problema grosso però è che non c’è più un dialogo vero tra critica e lettore potenziale pubblico. Molti critici si sono chiusi nell’autoreferenzialità, molti non si sono adattati ai cambiamenti epocali di diffusione e sfruttamento degli ultimi 15 anni. Moltissimi cercano solo il riconoscimento personale e hanno poca coscienza di quello che fanno e scrivono. Da parte loro i lettori leggono sempre meno, sempre più superficialmente e con poca attenzione ad approfondire. Ci sono le nicchie dei siti specializzati in un genere specifico o gli appassionati di un regista, un attore o un filone, ma sono per lo più nicchie (a volte grandi come per Harry Potter o Twilight o 007) spesso agguerrite, rumorose ma chiuse e poco curiose verso il resto. Se c’è un ruolo sociale che i critici possono ricoprire, nell’era del dominio delle multisale e del cinema fast food, è il difendere una varietà di scelta di film, sostenendo i film belli o interessanti o utili che provengono da Paesi del mondo poco noti, poco valorizzati, poco alla moda e contribuire ad arricchirci dal punto di vista culturale e non solo. Il cinema è stato ed è un modo per viaggiare senza partire, per conoscere altri luoghi, altre persone, altri usi, altre culture. Tanto più oggi che viviamo nell’era dell’interdipendenza planetaria. Il cinema è uno strumento per conoscere, incontrare o capire l’immigrato vicino di casa o collega o genitore dei compagni di scuola dei nostri figli. Oltre a un ruolo di intrattenimento, che oggi è occupato anche da altre forme di spettacolo, il cinema deve tornare a essere punto di incontro e di aggregazione. Se nei primi decenni del Novecento il cinema riunì classi sociali diverse davanti allo stesso schermo, ed era una novità, oggi può riunire persone di diverse provenienze. Credo che il cinema non possa abdicare al suo ruolo sociale e socializzante e i critici devono essere protagonisti in questo. È interesse della società che il cinema non perda questa funzione.
R: Quali sono gli aspetti che preferisci del tuo lavoro e quali quelli che detesti?
N.F.: L’aspetto che detesto maggiormente è il fatto che il lavoro giornalistico è molto poco considerato e pagato sempre meno, se non addirittura non pagato. In più il dover dipendere quasi sempre da decisioni altrui e quindi l’aspettare risposte e conferme per un articolo. Mi piace molto incontrare tante persone diverse, naturalmente vedere tanti film di tanti tipi diversi ed essere sempre spiazzato e sorpreso da quel che vedo. Forse la cosa che preferisco è fare un’intervista con una persona che ammiro su un lavoro, un film, un libro, uno spettacolo, che mi è piaciuto.
R: Scrivendo la recensione di un film è importante affidarsi al proprio gusto o esistono parametri di valutazione oggettivi?
N.F.: Un criterio veramente oggettivo e sicuro non c’è. Il proprio gusto, che è una somma di esperienze e conoscenze, è importante. Poi la coscienza, il rispetto. Ovviamente è importante conoscere la storia del cinema, gli elementi almeno fondamentali del linguaggio cinematografico, magari avere un’idea del tema storico o politico o sociale di cui tratta il film, ma avere anche un’idea dei meccanismi dell’industria cinematografica. Il cinema è insieme arte e industria e ogni film è figlio del suo tempo. Meglio sapere chi e perché produce certi film prima di sparare a caso sui sequel o sui cosiddetti cinepanettoni o, a ritroso, sulle commedie sexy anni ’70. O al contrario esaltarli per partito preso. Il gusto lo si affina vedendo tanti film, studiando, leggendo, confrontandosi con gli altri.
R: Quale metodo ti sembra più funzionale per scrivere una buona recensione e quanto tempo ti occorre per scriverla mediamente?
N.F.: Scrivendo per testate diverse, con tempi diversi e lunghezze diverse non ho un metodo unico. Mi trovo molto più a mio agio quando ho poco tempo. In quel caso sono molto veloce, posso scrivere in mezz’ora una recensione di 50-60 righe. Quando ho più tempo mi faccio prendere dal desiderio di scrivere bene e inevitabilmente non sono soddisfatto di quel che scrivo e impiego molto tempo. In generale è più semplice e veloce scrivere pezzi lunghi. Una recensione breve richiede sintesi e più riflessione.
R: Ritieni che sia più corretto vedere tutti i lavori di un regista prima di valutarne una nuova opera oppure credi che ogni film sia un caso a sè?
N.F.: Per valutare un singolo film non è necessario conoscere la filmografia di un regista, però conoscerla almeno in parte aiuta. A volte la troppa conoscenza toglie la freschezza. Tante volte sento a proposito di un regista che i suoi primi film erano meglio di quello appena visto: talvolta è vero, spesso non mi sembra. Conoscere un autore è sicuramente d’aiuto, basta ogni volta non portarsi dietro un pregiudizio, che sia positivo o negativo. Più cose si sanno e meglio è, più se ne sanno e più se ne vogliono sapere.
R: Come può un critico avere la certezza d’aver compreso correttamente l’intento narrativo di un autore?
N.F.: La certezza sarebbe bello averla ma non c’è mai. Da una parte è anche meglio non averla per continuare a ripensare al film, a scavarlo, a farsi domande. Un modo per sincerarsi di aver compreso un film è rivederlo. A me piace molto rivedere due o tre volte i film, quando posso o quando ne vale la pena. Non tanto se il film mi è piaciuto o meno, ma se ha spunti d’interesse da verificare o approfondire. A volte mi è capitato di cambiare, almeno in parte, idea su un film dopo averlo rivisto. Se devo commentare un film con il pubblico lo riguardo sempre per rinfrescare i dettagli. C’è anche da dire che non sempre il critico vede i film in condizioni ideali. Nei festival ne vede anche 4 o 5 o6 in un giorno e a volte la stanchezza o preoccupazioni o condizionamenti esterni possono disturbare o influenzare la visione. Sovente la memoria inganna, capita di dimenticare dei particolari. E anche non sapere più a che film appartenga una battuta o un’immagine! Nel dubbio quando scrivo di un film preferisco sbagliare per eccesso di generosità.
R: Scrivere per il web e per la carta stampata, quali sono le differenze? Tu quale mezzo prediligi e perché?
N.F.: Per ragioni anagrafiche ho iniziato a scrivere sulla carta stampata, prima su periodici generalisti e alla radio, poi sui quotidiani ma presto mi sono cimentato con internet. Non ho una predilezione per qualcosa, sono aperto a tutte le novità, mi piace sperimentare e cambiare, anche se sulla carta stampata ho imparato a leggere, ho iniziato a fare questo mestiere e l’ho frequentata più a lungo conoscendone a fondo i meccanismi. Più che il supporto, conta avere un’idea di chi è il potenziale lettore, per esempio se è un cinefilo, se è un appassionato di un genere o di un tema, se è il lettore di un grande quotidiano o di un quotidiano locale o di un quotidiano d’opinione. La scrittura cambia da una recensione lunga a una breve, da un saggio approfondito a un servizio da un festival, da una presentazione a una scheda sintetica. Ciascun genere giornalistico richiede un lavoro diverso, che dopo tanti anni diventa anche un po’ meccanico e quasi immediato.
R: Come può uno spettatore semplice diventare un critico? Quali abilità / titoli di studio occorrono?
N.F.: Anche qui, un titolo di studio specifico non c’è. Però ci sono diversi percorsi per approdare alla critica, chi dagli studi in cinema chi dalla scrittura giornalistica o narrativa. Sono richieste però delle competenze, delle capacità e delle doti. Per prima cosa conta la scrittura, serve una certa brillantezza, una capacità di interessare e di argomentare. Quando scrivo, cerco il più possibile di essere comprensibile da tutti, che non vuol dire essere banali, ma usare strutture sintattiche o un lessico che un lettore minimamente interessato conosce, cerco di spiegare eventuali termini tecnici. Non mi spingo a dire che cerco di educare il lettore, ma certo cerco di incuriosirlo partendo da qualcosa che conosce. Fondamentali sono l’esperienza di vita e l’apertura mentale. Il cinema è somma di tante arti, è influenzato dall’attualità e a volte racconta fatti storici. Bisogna leggere tanto, di tutto, vedere tanto, ascoltare musica, visitare mostre, approfondire, non accontentarsi mai, interessarsi al mondo. Soprattutto vivere! E lasciarsi andare anche ai propri sentimenti durante la visione e la scrittura, senza esagerare ma non nascondendo la parte emotiva. Infine serve il rispetto. Rispetto per gli autori del film e rispetto per il lettore. Un film rappresenta il lavoro di anni di decine o centinaia di persone, non si può stroncare a cuor leggero. Così come quando si valuta un piccolo film indipendente per il quale gli autori hanno ipotecato la casa o la troupe non è stata pagata. Un caso particolare è quando si valuta un film d’esordio: il regista spesso si gioca tutto, rischia di non avere una seconda possibilità se il suo film va male e il critico può avere un ruolo in questo. Non intendo che si debba largheggiare. Se un film non vale bisogna dirlo, troncare le ali a un giovane che si sta formando è grave quanto alimentare le ambizioni di un incapace, tanto più che questi ultimi sono più bravi nell’autopromozione. Diffido da chi usa troppo spesso la parola capolavoro. Come da chi stronca quasi tutto. Ci sono troppe troppe persone che scrivono di cinema e qualcuno cerca di distinguersi facendo il bizzarro. Dall’altra molti si fanno condizionare dal marketing e dalle conoscenze personali e non esercitano la loro funzione critica scrivendo bene di tutto. Tra l’altro non dobbiamo dimenticare che spesso viene chiamata critica anche ciò che appartiene alla cronaca cinematografica o al colore. Sono generi giornalistici diversi che spesso vengono confusi e a qualcuno fa comodo che vengano confusi. Credo che un po’ di rigore, anche con se stessi, sia sempre necessario.
A cura di Giulia Colella