Mauro Gervasini è firma storica del settimanale Film Tv e collabora con il quotidiano “La Provincia di Varese”. Autore di vari saggi su libri collettivi, nel 2003 ha pubblicato Cinema poliziesco francese, prima monografia italiana dedicata al “polar”. Dal 2005 fa parte del direttivo del Premio Chiara. Tra i primi a collaborare con Filmstudio 90 e Cinequanon, dal 2012 è consulente-selezionatore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Giulia Colella e Lorenzo De Angelis lo hanno intervistato per capire qualcosa in più sui meccanismi che portano alla delicata costruzione delle sezioni di una importante kermesse come quella veneziana.
La Redazione
Per te è stata la prima esperienza come selezionatore del festival di Venezia, che immagino sia un grande onore. Com’è stato passare da spettatore/critico a organizzatore?
Vent’anni fa, nel 1992, la prima volta che sono stato a Venezia come spettatore; quest’anno mi hanno affidato questo importante compito ed è stato straordinario il passaggio da fruitore a selezionatore. Mi ha consentito di avere uno sguardo nuovo sul festival. Si inizia ad esempio a capire come si determina la scelta di un film, come funziona la decisione collettiva dei selezionatori (in questo senso è molto importante valorizzare le diversità dei membri del gruppo, al fine di avere un concorso il più possibile variegato). Inizialmente ci siamo divisi in gruppi di due, vista l’enorme quantità di pellicole da vedere, per una prima scrematura. Abbiamo adottato un criterio di selezione, anche se la decisione finale spetta comunque sempre al direttore artistico Alberto Barbera. In una selezione, poi, i criteri estetici sono ovviamente necessari ma non sempre sufficienti; a volte contano riflessioni “geopolitiche”, nel senso che si tenta di evitare che ci sia una predominanza geografica di qualche paese o genere su altri, per evitare sbilanciamenti.
Come era composto il team dei selezionatori? C’erano stranieri?
I selezionatori del comitato di esperti (questa è la dicitura specifica per il nostro lavoro) sono sei e sono tutti italiani: io, Giulia D’Agnolo Vallan, Marina Sanna, Bruno Fornara, Oscar Iarussi ed Emiliano Morreale. La multi etnia dei partecipanti alla Mostra è garantita dalla figura del corrispondente, che in qualità di esperto di una determinata area geografica propone determinati titoli per la selezione.
Quanti film sono arrivati più o meno?
I lungometraggi sono stati circa 1200, i corti anche di più.
Quanti ne sono rimasti in concorso?
Alberto Barbera come nuova linea editoriale ha optato per lo snellimento delle sezioni, anche per privilegiare la qualità delle opere. Le sezioni competitive (Concorso e Orizzonti) erano composte da 18 film ognuna. In più Orizzonti aveva anche 14 cortometraggi. Poi tra la Retrospettiva (che quest’anno si intitolava Venezia Classici) e Fuori Concorso si contavano circa una dozzina di documentari. In totale quindi ci sono stati una sessantina di film.
Per i tuoi gusti qual è l’area geografica, se ce n’è una, che si è maggiormente distinta?
Sì, ce n’è una: Israele. C’erano tre film israeliani di qualità altissima in Concorso, in Orizzonti e nelle Giornate degli Autori. Tra l’altro ha vinto proprio il film israeliano in Concorso, Lemale et hachalal di Burshtein, il premio per la miglior attrice protagonista. Ci tengo a sottolineare che in tutti e tre i casi si tratta di registi esordienti e credo che sia un elemento significativo.
Come sta il cinema italiano secondo te?
Il cinema italiano esce da un periodo difficile, perché si producono soprattutto commedie, non sempre buone e che troppo spesso ricalcano modelli televisivi. Qualcosa però sembra si stia muovendo. Infatti a Berlino ha trionfato il film dei fratelli Taviani Cesare non deve morire, e a Cannes Garrone con Reality ha vinto il secondo premio. Anche a Venezia è stato premiato per il contributo tecnico il film di Ciprì È stato il figlio, e l’interprete Fabrizio Falco ha vinto il premio come miglior giovane attore esordiente. Anche nella selezione si è manifestato un cinema italiano più “robusto” del solito. Speriamo non si tratti di un fuoco di paglia.
Sei riuscito a fare comunque lo spettatore, nonostante il tuo ruolo?
Sì, la cosa bella è stata che mi sono potuto concentrare sulla Retrospettiva. Uno dei valori aggiunti della direzione di Alberto Barbera è la sezione Venezia Classici, che rappresenta un momento di riflessione sul cinema attraverso il cinema stesso (i documentari) e ha saputo creare sinergie feconde tra le cineteche italiane e internazionali che hanno proposto numerosi film restaurati. In questa occasione ho scoperto che Wang Bing (vincitore della sezione Orizzonti) è molto appassionato di Luchino Visconti. Ciò dimostra quanto sia stato interessante pensare al cinema del passato, attraverso sguardi differenti dal proprio.
Tra le personalità che hai conosciuto, qual è stata quella che ti ha maggiormente affascinato?
Ho avuto la fortuna di cenare con Wang Bing ed è stata un’esperienza importantissima per me perché ho apprezzato molto i suoi film. E’ stato anche meraviglioso conoscere Kim Ki-duk, vincitore del Leone d’oro con Pietà, che è il personaggio che uno si aspetta: un Don Chisciotte post-atomico.
Altre considerazioni?
Ho apprezzato tantissimo l’idea di Alberto Barbera di aprire un Mercato, che era una cosa che a un festival importante come Venezia mancava. Soprattutto considerando che è ormai chiuso il Mifed, il Mercato Internazionale del Cinema e dell’Audiovisivo che si teneva a Milano.
Puoi spiegarci che cosa intendi per “Mercato”?
Sì, si tratta di proiezioni riservate ai cosiddetti “Buyers”, persone che discutono sul film e decidono eventualmente di acquistarlo per la distribuzione. Quest’anno a Venezia ne erano presenti circa duecento, credo sia un numero molto importante e significativo per una prima edizione. La cosa più bella sarà rivedere i film presentati in selezione o venduti al mercato in sala. E’ molto importante parlare anche della distribuzione, infatti il gradimento che suscita in un festival come Venezia un film magari di una cinematografia più marginale di quelle consolidate, tipo l’americana o la francese, può consentire ai distributori l’acquisto, il che rende molto variegato il panorama delle sale. Alcuni titoli sono stati comprati addirittura prima di ricevere i premi, proprio perché sono stati ritenuti interessanti e di alto livello dai distributori presenti.
di Giulia Colella & Lorenzo De Angelis