Seydou Tall (Omar Sy), originario del Senegal, è un attore francese acclamato. La moglie lo ha lasciato nonostante lui continui ad amarla. Il loro matrimonio ha generato un figlio che adesso ha sei anni e che Seydou può vedere solo due fine settimana al mese. Quando per la prima volta si reca in Senegal per accompagnare la sua autobiografia, ad attenderlo c’è un paese adorante e un ragazzino di tredici anni, Yao (Lionel Louis Basse), che ha percorso più di trecentocinquanta chilometri per raggiungere Dakar e farsi autografare una copia del libro che ha imparato a memoria. Sorpreso dalla tenacia di Yao, l’attore decide di riaccompagnarlo a casa scombinando il suo programma di viaggio e mettendo a rischio la partenza per Parigi prevista il giorno dopo.
Film per certi aspetti scontato nella struttura e negli snodi narrativi, soprattutto quando diventa un road movie, Il viaggio di Yao di Philippe Godeau ha elementi di interesse legati essenzialmente al protagonista divo del film Omar Sy. Diventato un’autentica star non solo in Francia, grazie soprattutto a Quasi amici e a una serie di ottime interpretazioni in buoni film (Samba e Mister Chocolat), il personaggio di Mr. Tall che il regista e la co-sceneggiatrice Agnès de Sacy gli cuciono addosso ha qualcosa di autobiografico che da sottotraccia diventa invece congeniale al film che potremmo ribattezzare Il viaggio di Seydou. Il film, che pure è una gradevole commedia sull’ennesimo viaggio a due, si trasforma in un percorso al contrario verso la terra d’origine di un nero diventato bianco, per di più un ritorno poco convinto, quasi forzato, che ad un certo punto sembra turbare l’attore. Un disorientamento che viene espresso simbolicamente all’inizio, quando appena atterrato a Dakar, Seydou si ritrova nell’abitacolo dell’auto di rappresentanza imbottigliata nelle strade intasate da musulmani in preghiera. L’Africa senegalese è una patria sconosciuta che via via si manifesta attraverso il volto di un bambino che non è altro che la maschera del destino. Lo esprime bene una donna che in prossimità dell’ultimo capitolo del viaggio spoglia definitivamente Seydou dei costrutti mentali occidentali, ridefinendo ogni passaggio che lo ha portato fino alle soglie del suo villaggio natale come il manifestarsi di un disegno che doveva compiersi.
Yao quindi come presenza magica e alter ego dell’adulto che lentamente si abbandona allo sguardo sincero e profondo del suo compagno di viaggio, riscoprendo le sue radici. Yao con l’irriverenza ingenua dell’infanzia spoglia l’idolo Mr. Tall con domande perentorie e indagatrici, senza secondi fini, senza progetto opportunistico, ma semplicemente con curiosità, per scoprire attraverso un incontro inaspettato qualcosa della vita in un confronto che è anche assaggio di una cultura diversa e lontana. Che poi Yao ami Jules Verne e conosca i miti moderni europei poco importa, ha la saggezza sufficiente per amare la propria terra e, quindi, guidare l’attore sotto i baobab africani, lì dove non avevamo mai visto prima Omar Sy.
Vera Mandusich
Il viaggio di Yao
Regia: Philippe Godeau. Sceneggiatura: Agnès de Sacy, Philippe Godeau. Fotografia: Jean-Marc Fabre. Montaggio: Hervé de Luze. Interpreti: Omar Sy, Lionel Louis Basse, Gwendolyn Gourvenec, Fatoumata Diawara. Origine: Francia, 2018. Durata: 103′.