Il nome del figlio si aggiunge alla cinematografia da quarta parete. Voilà il prestito della pièce teatrale Le prénom, recente successo teatrale di deportazione francese, seconda trasposizione filmica del testo.
Una trama semplice, il salotto Pontecorvo dell’alta borghesia romana, la consueta cena fra amici d’infanzia. Un nostalgico ed ingelosito gruppo di amici. Fra di loro una scrittrice di periferia (Micaela Ramazzotti), la più rozza ed imborghesita di tutti i presenti, a bordo tavola raccoglie frasi degli invitati come adesivi su un album. Il marito (nonostante tutto un orgoglioso Gassmann) è un arricchito agente immobiliare. Un professore universitario esperto in tweet ma perdente nella letteratura (Luigi Lo Cascio), la moglie “quasi” modello (Valeria Golino) divisa fra padelle, figli ed esercizi fisici improvvisati. Un amico musicista, forse gay (Rocco Papaleo). Tutti attorno ad una tavola sulla quale sono serviti piatti di cinismo e commenti sferzanti.
Torna subito in mente il Polanski che, scrivendo a quattro mani la sceneggiatura di Carnage (2011), rinchiuse fra le mura domestiche newyorkesi due coppie di genitori sull’orlo dell’isteria. Per colpa di un ordinario incidente di giochi fra figli, la disputa tra famiglie si vestiva di sarcasmo e tagliente critica alla società.
Come in Carnage i bambini, qui, sono una forte presenza fuori campo. La partecipazione, un presenza tecnicamente invisibile, oltre lo spazio scenografico chiuso della casa. Archibugi posa il bastone con il quale i ragazzini di Polanski si ferivano al parco, caricando tutta la responsabilità del dramma su un bambino non ancora nato. Un nascituro che, per colpa degli adulti, rischia di nascere con un nome troppo pesante: Benito, come “l’indimenticabile” duce.
La sensazione è che Francesca Archibugi inzuppi Le prénom nel contesto italiano. La ricerca del tono borghese ricade, alle volte, sull’italianità dell’interpretazione. Il fervore tipico “di noialtri”, della discussione, scende raramente nelle profondità. Anzi, picchi di spettacolo con il trenino canterello di “Chiamami fra vent’anni” (comunque una pertinente citazione). E di pregiudizio. Quasi ci si sente nel matrimonio napoletano di Garrone. La tensione al varcare i confini del rispetto fra personaggi si sente, certo, ma senza uno sfociare ben preciso.
Peccato che il sapore in bocca alla fine del racconto non sia nemmeno amaro. La demoralizzazione polanskiana che ti avvolgeva a fine pellicola non è nemmeno avvistata. Qui nessuna critica compiuta della società, solo una colorita litigata fra italiani che conferma il nostro distinto atteggiamento polemico, e la nostra continua nostalgia per il solo passato, che nessuno ha ancora capito perché era migliore… Il parallelismo fra adolescenza ed età adulta é una frana di montagna. Perché pur di supporto alla descrizione dei protagonisti, priva di energia il decollo della trama. Costanti caratteriali karmiche intatte, nessuna evoluzione dei personaggio, alla fine solo tanto fracasso italiano.
Benvenuto, Benito.
Giulia Peruzzotti
Il nome del figlio
Regia: Francesca Archibugi. Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Francesco Piccolo. Fotografia: Fabio Cianchetti. Montaggio: Esmeralda Calabria. Interpreti: Alessandro Gassmann, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti. Origine: Ita, 2015. Durata: 96′.