Alla morte di Bartolo, travolto dalla caduta di un muro traballante, Elia (Sergio Rubini) resta l’ultimo abitante di Provvidenza, un paese fantasma nel sud Italia abbandonato dopo un terremoto avvenuto anni prima. Quando arrivano le comitive di turisti (anche giapponesi e americani) portate dall’amico ed ex collega Gesualdo, l’uomo alza davanti ai ruderi un telo che riproduce una scena di vita del paese com’era prima e si fa fotografare con i visitatori. Per lui, che vive nel ricordo della moglie Maria, insegnante elementare vittima del sisma mentre era lontano per lavoro, il tempo si è fermato. In casa tiene ancora appeso il poster di Balla coi lupi, che avevano visto più volte insieme al Cinema Astra, oggi diroccato come quasi tutti gli edifici. Suo cognato Pasquale, fratello della defunta, è sindaco e vuole che anche il testardo Elia lasci l’abitazione: per questo fa recintare e murare il borgo. Se i vecchi abitanti, trasferitisi a vivere a poca distanza in un nuovo insediamento, vogliono “dimenticare” e “andare avanti”, il protagonista vuole ricordare e tenere in vita i luoghi. Sarà la comparsa di una misteriosa donna araba, Nour (Sonya Mellah), di passaggio perché vuole raggiungere la sorella in Francia, a fornirgli un’occasione di speranza.
Il bene mio di Pippo Mezzapesa, presentato a Venezia nella sezione Giornate degli autori, è uno dei lungometraggi italiani più convincenti e interessanti in circolazione. Un film generoso, con una partenza un po’ faticosa, ma che cresce gradualmente e va verso un’ultima parte molto bella, con un personaggio caparbio e altrettanto generoso. Un’opera che tratta temi attuali affrontati senza banalizzare o cadere nelle trappole, né della retorica né del sentimento tra Elia e Nour, che riescono a comunicare a malapena. Ci sono l’abbandono e la speranza dei luoghi, frettolosamente liquidati come fantasma. Il regista riesce a conciliare il realismo, il sogno, il mistero e la nostalgia, e prova ad accendere un lumicino per questi paesi, diffusi in tutto lo stivale e soprattutto nel sud. Una storia che ha parecchie assonanze con quella di Riace, anche se in questo caso il sindaco è il cattivo che vuole chiudere con il passato con tutto ciò che di ricordi e cultura vi è legato. Lasciato a se stesso, tradito dai sui abitanti, Provvidenza diventa terreno per le incursioni in moto di un gruppo di ragazzi che cercano pure di rubare nella chiesa. Assalito da frequenti incubi, Elia torna invece nel vecchio cinema, si siede e ricorda una scena (si sentono pure i dialoghi) di Balla coi lupi.
Il titolo, Il bene mio, riprende quello di una canzone del pugliese Matteo Salvatore che si sente nel finale, mentre i blues di Robert Johnson danno un tono di vitale nostalgia alla storia. I rimandi sono tanti, da I Malavoglia a Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi, o i meno noti La vita in comune di Winspeare e Montedoro di Antonello Faretta. Mezzapesa, che si era fatto conoscere con i documentari sul becchino candidato sindaco Pinuccio Lovero ed è alla seconda prova nel lungometraggio di finzione, trova però tra questi una strada personale. Una pellicola per sognatori e ostinati, che non hanno paura di ricordare.
Il film è stato girato tra Apice, nel Beneventano, e Gravina di Puglia.
Nicola Falcinella
Il mio bene
Regia: Pippo Mezzapesa. Sceneggiatura: Massimo De Angelis, Antonella Gaeta, Pippo Mezzapesa. Fotografia: Giorgio Giannoccaro. Montaggio: Andrea Facchini. Interpreti: Sergio Rubini, Sonya Mellah, Dino Abbrescia, Francesco De Vito, Michele Sinisi, Teresa Saponangelo, Caterina Valente. Origine: Italia, 2018. Durata: 95′.