Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli può essere la sorpresa dell’anno: la Germania ha deciso di candidarlo agli Oscar come Miglior film straniero, la pellicola è entrata nella shortlist e in molti lo danno in predicato di vincere. Ha sicuramente tutte le caratteristiche (tema del film e classicismo nella rappresentazione) per appassionare la platea dell’Academy. Da qui a considerarlo un capolavoro però ce ne corre. Il regista è al suo esordio in un lungometraggio ed è di origini italianissime, ma il film è interamente prodotto in terra tedesca.
Germania 1958, nel pieno del miracolo economico nessuno ha voglia di ricordare i tempi del nazismo. Il giovane procuratore Johann Radmann si imbatte in alcuni documenti che lo aiutano a dare il via al processo contro alcuni importanti personaggi pubblici che avevano prestato servizio ad Auschwitz. La scoperta degli orrori del passato e l’ostilità che avverte nei suoi confronti portano Johann vicino all’esaurimento. Grazie al supporto del pubblico ministero generale Frits Bauer, esce da questo drammatico labirinto.
Il labirinto del silenzio è un film che potrebbe far scrivere una marea di parole. E’ il più classico dei film “giusti” con ottime e curatissime ambientazioni, girato in modo solido, talmente ben calibrato da prevedere quasi ogni scena. Un film da dibattito che induce a parlare più che dell’opera in sé, della storia della Germania, della sua coscienza sporca, della rimozione collettiva. Questo l’indubbio pregio del film di Ricciarelli: portare alla luce un pezzo di storia incredibilmente rimossa dalla maggioranza dei tedeschi.
Cercando di capire qualcosa sulla narrazione filmica, si scopre però che il personaggio di Radmann è in verità un personaggio inventato: la storia è ovviamente vera, ma i pubblici ministeri erano tre e sono stati condensati in un unico personaggio interpretato da Alexander Fehling, attore giovane, bello, biondo e affascinante. È una scelta che lo stesso regista ha ammesso di aver fatto per rendere il film più spettacolare e alla portata del grande pubblico. Indubbiamente riesce nell’intento, ma resta il dubbio che questa “spettacolarizzazione” non fosse così necessaria, anzi: a tratti pare che annacqui il film, rendendo più “sopportabile” la rimozione.
Certo è che la visione del film fa venir voglia di scoprire qualcosa sul quel periodo della storia tedesca: il cinema in tal senso ci ha regalato, dalla seconda metà degli anni ’60, i primi grandi film del Nuovo Cinema Tedesco con gli esordi ad esempio di Fassbinder, Kluge e Schlöndorff. Tutti registi che criticavano il cinema di papà (‘Papa Kino ist tot’ era un loro slogan sulla falsariga della nouvelle vague francese) proprio perché cinema di rimozione e proponevano opere indipendenti e liberi da tutte le convenzioni dell’industria. Un cinema che è entrato nella storia della Settima Arte, cosa che difficilmente farà il comunque buon film di Ricciarelli.
Claudio Casazza
Il labirinto del silenzio
Regia: Giulio Ricciarelli. Sceneggiatura: Elisabeth Bartel, Giulio Ricciarelli. Fotografia: Martin Langer, Roman Osin. Musiche: Niki Reiser. Interpreti: Alexander Fehling, André Szymanski, Friederike Becht. Origine: Germania, 2015. Durata: 124′.