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Il fenomeno Gola profonda: dal porno al Watergate (1972-1974)

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C’è un imperscrutabile filo rosso che lega almeno due dei principali avvenimenti storiografici della cultura americana anni settanta. E quando si parla di cultura, lo si fa nel senso antropologico del termine, cioè riferendosi nel complesso a quella “semiosfera” di immagini, informazioni, mutamenti di gusto che non si possono riduttivamente limitare alla politologia. La storia è primariamente storia dei modelli umanistici, siano essi quelli cinematografici o sociologici in senso stretto. Nel giugno 1972 succedono due cose strettamente interconnesse, la prima riguardante il cinema, la seconda le scienze sociali. Il dodici giugno un anonimo cinematografo di Times Square, New York, proietta il primo film pornografico della storia, Deep Throat (in principio i collaboratori di Gerard Damiano favoleggiavano di chiamarlo La mangiatrice di spade ma, non convinto, il regista optò per il più efficace Gola profonda, in italiano tradotto inspiegabilmente come La vera gola profonda). D’accordo, non era la prima pellicola a luci rosse che l’industria dello spettacolo avesse prodotto, ma di sicuro fu quella che contribuì maggiormente ad aprire molte porte. In tutti i sensi. Pochi giorni più tardi, il diciassette, un’altrettanto anonima guardia di sicurezza, Frank Willis, uno di quei nomi passati alla storia per le più bizzarre congiunture della provvidenza, scoprì per puro caso un tentativo di effrazione presso gli uffici del Comitato nazionale democratico, ubicato nel Watergate Hotel di Washington. Era l’inizio della fine, quel domino di spaventosi avvenimenti, inciuci di palazzo, cattiverie e sotterfugi, che provocarono la caduta di Richard Nixon, altrimenti conosciuta con il più prosaico anglicismo di impeachment, soltanto due anni più tardi. Tra i cinque arrestati, penetrati nottetempo nella struttura per riparare delle segretissime microspie telefoniche, c’era anche un ex agente della CIA, tale James W. McCord. Di certo non un ladruncolo qualunque. L’opinione pubblica poté pasteggiare con l’evidenza delle responsabilità politiche, che in un modo ancora abbastanza oscuro finivano per coinvolgere direttamente la Casa Bianca, grazie al reportage della coppia BarnsteinWoodward, entrambi giornalisti del Washington Post: i due vantavano infatti almeno un contatto eccellente, la cui identità restava celata da un opportunissimo accordo di segretezza, che muovendosi nelle paludi governative, poteva indicare con assoluta certezza il coinvolgimento dei piani alti in quello che sarebbe diventato lo scandalo Watergate. Come in qualsiasi film spionistico che si rispetti, questo contatto aveva un nome in codice: Gola Profonda (W. Mark Felt, numero uno dell’FBI).

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Ormai era fatta: mentre il Presidente allora in carica faceva calare sul paese una cappa di intrighi, macchinazioni da dietro le quinte, astuti tentativi di sabotaggio delle indagini, ecco che la pornografia prendeva disperatamente piede, contaminando non soltanto i cinematografi di periferia, ma quelli del centro, garantendo incassi strepitosi agli esercenti e una rivalutazione del prodotto “a luci rosse”. Prima di allora, infatti, la rappresentazione più o meno esplicita del sesso era consentita soltanto a scopi pedagogici, cioè in quei filmati di educazione sessuale con tanto di voce fuori campo a spiegare particolarità anatomiche del pene, posizioni erotiche e via discorrendo. Non c’era una vera e propria legge contro la pornografia, semmai contro l’oscenità, e infatti fu in base a delle motivazioni abbastanza divertenti che si giocò l’accusa (e pure la difesa) del film diretto da Gerard Damiano, ex parrucchiere dei Queens trasformatosi, per sua stessa ammissione, nel confessore di signore insoddisfatte in attesa di messa in piega. Ma andiamo con ordine: Gola profonda costò appena venticinquemila dollari e ne incassò seicento milioni, rivelandosi uno dei film più redditizi del mercato cinematografico mondiale. In fin dei conti era una commediola scollacciata che trattava un tema scabroso ma in maniera assolutamente canzonatoria: una donna frustrata dal sesso perché non riesce a provare l’orgasmo (Linda Boreman, meglio conosciuta come Linda Lovelace) finisce nello studio dello specialista (Harry Reems) per scoprire che il clitoride ce l’ha nel fondo della gola. Per capire le ragioni di un successo tanto inaspettato, bisogna dire che la società americana dell’epoca era talmente perbenista che difficilmente sarebbe riuscita a individuare detto organo in una donna. Quando l’accusa trascinò il cast in tribunale, asserendo che fosse moralmente sbagliato spingere una ragazza a ritenere l’orgasmo clitorideo più soddisfacente di quello vaginale, il giudice che aveva in esame il caso trasecolò sulla scranna chiedendo che diamine fosse un orgasmo clitorideo. L’accusa puntava sull’oscenità, la difesa sulla libertà di espressione e sul diritto di parlare liberamente della sessualità, di modo che le donne fossero rese edotte su quegli aspetti che prima del film ben pochi avevano avuto l’ardire di sollevare.

gola2Ma tutto questo cosa c’entra con la politica? C’entra eccome, perché nel 1968 il governo statunitense aveva istituito un’apposita commissione scientifica per capire se la pornografia fosse effettivamente dannosa per la salute fisica e mentale dei cittadini. Il responso era stato negativo, ma uno dei responsabili della commissione, Charles Keating, fedelissimo di Nixon e successivamente arrestato per truffa, aveva fatto di tutto per inficiarne i risultati. Per inciso, Keating era stato il fondatore della più importante organizzazione americana contro la pornografia e la sconcezza in arte, la Citizens for Decent Literature, e nel 1965 arrivò a produrre un breve filmato di propaganda, Perversion for Profit, nel quale il noto anchorman George Putnam illustrava con straordinaria prosopopea gli effetti dannosi delle immagini indecorose sul pubblico. Nel gennaio 1973 gli scassinatori del Watergate furono tutti condannati per cospirazione, furto con scasso e intercettazioni telefoniche. Il primo marzo dello stesso anno il giudice Tyler dedicò a Gola profonda un vero e proprio carme all’indecenza (“un banchetto di marciume e squallore, un nadir della decadenza: questa gola merita di essere tagliata”). Un esercente newyorkese reagì alla condanna con una geniale insegna pubblicitaria: “Il giudice taglia la gola: il mondo in lutto”. Ormai il pentolone era stato scoperchiato, e in alcuni cinema, Gola profonda veniva trasmesso addirittura in loop, a qualunque ora del giorno e della notte, complici due grandi fattori congiunturali: da un lato le frotte di spettatori dell’alta borghesia americana, quella specie di nomenklatura del mondo politico e culturale che non si poteva lasciar scappare la novità trasgressiva del momento: c’erano dentro tutti, Jack Nicholson, Warren Beatty, persino la vedova Kennedy; dall’altra l’articolo pubblicato sul New York Times a firma di Ralph Blumenthal, che per primo lanciò la definizione più che calzante di porno chic. Cioè un tipo di pornografia raffinata e cinematograficamente interessante, distante anni luce da quegli orribili filmini sgranati che avevano costituito il terreno di prova per la stessa Linda Lovelace (ricordiamo a questo proposito il “bestiale” Dogorama, antesignano del cinema zoorasta prima di Walerian Borowczyk e Peter Skerl).gola4

Se il New York Times contribuiva in maniera preponderante a dare lustro all’intera operazione, l’FBI aveva altro da fare che leggere gli elzeviri entusiasti di Blumenthal: purtroppo non c’erano soltanto le numerosissime accuse di oscenità a gettare fango sulla crew di neonati pornografi, ma anche quelle penali: sempre in quegli anni il Federal Bereau of Investigation arrestava infatti Gerard Damiano, chiedendogli di rendere conto dei suoi misteriosi finanziatori. Si cominciò a scoprire il lato oscuro dell’universo a luci rosse, ancora prima che l’attrice protagonista abbracciasse le più squinternate opinioni del femminismo militante, rinnegando il suo passato da porno diva e denunciando l’allora marito, Chuck Traynor, di abusi e percosse. Il vertice della produzione era infatti composto da una famiglia della malavita italoamericana, i Peraino, che da buoni professionisti del crimine avevano creato un sistema di riscossione crediti estremamente persuasivo ed efficiente: partendo dal presupposto che la metà dei profitti di Gola profonda spettasse a loro, avevano assunto quelli che in gergo sarebbero stati definiti i “controllori”, spesso ignari disgraziati alla ricerca di un’occupazione che monitoravano il numero di biglietti venduti per ogni cinema. Alla fine della proiezione, riscuotevano l’imposta pattuita, altrimenti chiamavano un superiore che si affidava alla canna della pistola. Sembra inoltre che gli attori del film abbiano percepito soltanto le briciole degli incassi, e il grosso del profitto sia stato spartito tra le eminenze grigie di cui tutti sapevano ma che nessuno aveva il coraggio di nominare.
gola5Mentre il film veniva bandito in ventitré stati, Harry Reems rischiava la galera con l’accusa di oscenità, l’America dei diritti civili infiammava le piazze trasformando tutto in una moda, un prodotto di consumo, una tendenza del momento che poteva fare cassa al botteghino, ecco che nel febbraio del 1974 usciva il secondo capitolo della serie, Deep Throat Part II, dai noi distribuito semplicemente come Gola profonda. Il regista era Joseph W. Sarno, gli attori sempre gli stessi, ma l’hardcore cedeva il posto a una serie di noiosissimi amplessi simulati. Come dargli torto? Lo scandalo non si era ancora concluso, i processi continuarono fino al 1976 e anche oltre, ma almeno qualcuno aveva avuto il coraggio di scrivere una delirante sceneggiatura a base di intrighi spionistici da guerra fredda. Non era una casualità. Proprio il trenta luglio del 1974 Richard Nixon consegnava al giudice che indagava sul Watergate il celebre smoking gun, ovvero le registrazioni dello Studio Ovale, la prova provata che il Presidente sapeva delle intercettazioni e che anzi ne era stato uno dei principali fautori. L’otto agosto Nixon rassegnava le dimissioni. Un cerchio che si chiude perfettamente.gola6

Forse sarebbe lecito domandarsi quali siano state le ripercussioni della pellicola sul “buon cinema”. Ebbene, pochi lo sanno, ma il concetto di porno chic che fece tanto scalpore nei salotti culturali ebbe il merito inconsapevole di predisporre una vera e propria scuola di apprendistato per le nuove leve della settima arte. E non stiamo parlando di volti misconosciuti da sottobosco hollywoodiano: nel 1977 Abel Ferrara esordiva alla regia con un film dal titolo di per sé esaustivo, Nine Lives of a Wet Pussy. E Wes Craven dirigeva film porno sotto pseudonimo prima di approdare al ben più celebre L’ultima casa a sinistra (1972). Il resto è storia: Linda Lovelace si ritirò dal grande schermo per scrivere diversi libri nei quali rinnegava con forza la propria adesione al mondo del porno. Icona della liberazione sessuale prima, opinionista da salotto televisivo poi, la carriera della donna si spense in una parabola discendente che partiva da Nixon per sfiorare Reagan. Morì nel 2002 in seguito a un incidente d’auto. Nel 2013 Hollywood le tributò uno dei tanti biopic che oggi vanno per la maggiore, Lovelace, diretto da Robert Epstein e Jeffrey Friedman. Harry Reems lasciò questo mondo nel 2013, dopo essere caduto nell’abisso della droga e aver ritrovato per tempo la fede cristiana. E aver “recitato” con Traci Lords quando questa era ancora minorenne in un film intitolato Those Young Girls (1984). Gerard Damiano spirò per un infarto nel 2008, dopo aver parzialmente ispirato il personaggio di Burt Reynolds in Boogie Nights (1997). Il tempo ormai ha fagocitato tutto, gioie e dolori di questi divi precocemente indirizzati al viale del tramonto, l’epoca d’oro delle loro carriere e l’oblio inspiegabile che ne è seguito. Resta soltanto il ricordo di qualche cinefilo nostalgico, o la compassionevole lungimiranza della macchina hollywoodiana che ha sostituito il volto di Linda Lovelace con quello decisamente più conosciuto di Amanda Seyfried. Una volta si producevano pellicole contro la pornografia, oggi è la pornografia a ispirare i criteri raffigurativi dell’industria dello spettacolo.

Marco Marchetti

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