Esce con enorme ritardo rispetto alla prima data annunciata Il Club di Pablo Larrain, premiato esattamente un anno fa con l’Orso d’Argento Gran Premio della Giuria al Festival del cinema di Berlino. La vicenda ambientata a La Boca, una località sperduta sulla costa cilena, dove quattro sacerdoti sconsacrati e una suora sono stati confinati per aver tradito la Chiesa e soprattutto i fedeli più fragili, i bambini, doveva arrivare nei nostri cinema a novembre, in concomitanza con Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti. Invece, strana coincidenza, il film esce a una settimana di distanza da Il caso Spotlight, che ha il merito di ritornare sullo scandalo pedofilia che colpì il clero di Boston nel 2001.
Larrain non è nuovo a narrazioni disturbanti, asciutte, dirette, senza fronzoli, che affondano nelle piaghe del suo paese, dalla dittatura (Tony Manero e Post-Mortem) ai compromessi del referendum che cacciò Pinochet (NO – I giorni dell’arcobaleno).
Il Club racconta l’isolamento di quattro uomini di Dio che hanno smarrito la strada della virtù morale e che tentano una difficile espiazione lontani dalle tentazioni della carne. Di età diverse, i sacerdoti vivono sotto l’occhio vigile di suor Monica (Antonia Zegers), osservano un regime rigoroso, pregano e, quando non pregano, addestrano un levriero per gare clandestine che fruttano denaro extra. Una routine interrotta dall’arrivo di padre Lazcano (José Soza) e dal suo suicidio, indotto dalle pesanti accuse di Sandokan (Roberto Farias), un uomo che da bambino fu violentato ripetutamente dal prete. A indagare sui fatti arriva padre Garcia (Marcelo Alonso), un gesuita psicologo che, in cerca di verità, irrompe nell’apparente normalità del gruppo, portando alla luce i lati più oscuri dei cinque residenti di La Boca.
Il regista ha indagato a fondo la realtà sconosciuta dei preti allontanati improvvisamente, e nel più assoluto silenzio, dalle loro parrocchie in circostanze non chiare. Le “case di riposo” sono dei veri e propri confini di penitenza, luoghi remoti in cui, se non correggere, perlomeno neutralizzare comportamenti deviati.
A differenza degli altri film di Larrain, Il Club non si colloca in un momento politico preciso, ma affronta da angolature diverse uno dei temi portanti del suo lavoro, ovvero l’impunità. Come afferma Alfredo Castro (attore feticcio di Larrain, che qui interpreta uno dei sacerdoti) “la società cilena si è fondata su una storia di potere e sottomissione; potenze economiche, sociali, politiche e religiose, hanno inflitto grande violenza all’ombra del silenzio. Molto spesso atti criminali sono stati coperti da reti di protezione” (dal pressbook, nda). Basterebbe rivedere Post-Mortem per farsene un’idea, il film forse più crudo del regista cileno.
Nonostante il ricordo della dittatura sia lontano, Il Club ne trattiene le atmosfere lugubri. Il regista chiede al direttore della fotografia Sergio Armstrong di desaturare le tinte, di avvolgere ambienti e persone con una luce velata, come se una foschia impercettibile avesse spento la luminosità del mondo. I preti si muovono pesanti, schiacciati da un fardello insostenibile e da cui è impossibile liberarsi. Non c’è segno di liberazione dal peccato, anzi: l’isolamento pare aver accentuato l’attaccamento alle cose materiali e, per di più, non sembra esserci in loro consapevolezza dei crimini commessi, la distanza tra colpa e peccato pare un abisso plumbeo. Garcia deve sfondare le barricate del club e metterli al muro uno a uno, per estrarre un briciolo di verità, mentre La Boca diventa inquadratura dopo inquadratura un ventre putrido, in cui si aggira lo spettro della giustizia in cerca di vendetta: Sandokan col suo corpo offeso in nome di Dio. L’oceano schiaffeggia la costa e non riesce mai a diventare un orizzonte poetico, piuttosto un abisso che restituisce dai fondali rifiuti disgustosi.
Il cinema di Larrain non fa sconti e non teme l’orrore di ciò che mostra, non si preoccupa di costruire un solo personaggio gradevole a cui affezionarsi. Basta la perfezione dei passaggi narrativi e della tensione psicologica tra i protagonisti a incollare allo schermo. Il suo percorso cinematografico è lucido, porta lo spettatore al cospetto delle piccole miserie umane che hanno poi aperto la strada agli orrori del recente passato. La nostra storia è questa, dolorosamente reale, e continua a raccontare carneficine quotidiane in un silenzio ovattato.
Alessandro Leone
Il Club
Regia: Pablo Larrain. Sceneggiatura: Guillermo Calderòn, Daniel Villalobos, Pablo Larrain. Fotografia: Sergio Armstrong. Montaggio: Sebastiàn Sepùlveda. Interpreti: Alfredo Castro, Roberto Farias, Antonia Zegers, Jaime Vadell, Marcelo Alonso, José Soza, Alejandro Goic. Origine: Cile, 2015. Durata: 97′.