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Il cinema (non) muore

Streaming, e la lotta delle (mono e multi) sale

La recente (e pressante) pandemia ha portato a fare considerazioni spesso catastrofiche sullo stato di vita del cinema. Ci si chiede, in parole semplici, quale possa essere il futuro di quest’arte, sempre che di futuro si possa parlare. La realtà dei fatti è che di vita si può e si deve parlare tranquillamente, senza paventare una fine apocalittica che arriverebbe a fare piazza pulita. Che cosa dovrebbe arrivare a rimpiazzare il cinema, inoltre, non si capisce bene in questo scenario.

Il problema vero non sarebbe allora la morte del cinema, quanto la morte dei cinema, inghiottiti dalle piattaforme streaming che permetterebbero maggiori introiti a fronte di spese più contenute. Possibile, quindi, affermare che la morte non sarebbe legata al prodotto, quanto al luogo di fruizione di quest’ultimo. Si suppone anche che la presenza di piattaforme in streaming inciderebbe sulla qualità delle opere offerte, paura questa che sembra più infondata che altro, e che ricorda una fantomatica decadenza della figura dell’attore dei primi anni di vita del cinema stesso, quando chi si prestava a stare sullo schermo era visto come la dimostrazione del proprio fallimento lavorativo, incapace di calcare il palco reale, quello vero, quello della messa in scena sincrona.

Sbarazzatici dello spauracchio di una caduta di qualità (questa non riguarda il mezzo in sé, in effetti), c’è da chiedersi se veramente la pandemia abbia portato o porterà, forse in maniera accelerata, alla fine dei luoghi d’essai. Difficile entrare in questo ginepraio senza sollevare questioni ben profonde, ma la resa dei conti va affrontata con la questione della assoluta impossibilità di unire “cinema d’essai” o “sala monoschermo” con “qualità”. Non per forza la “resistenza” delle associazioni di cinema implica di loro natura la bontà di ciò che viene proposto. Se di bontà si parla, questa viene da una lunga e profonda conoscenza da parte degli esercenti di ciò che viene proposto, sapendo bene che spesso qualità implica impegno da parte del pubblico e per questo, come è naturale che sia, un valore commerciale spesso minore, relegato alla nicchia (dura lex, sed lex).

La realtà dei fatti, quindi, è molto più complessa di quello che potrebbe sembrare. La morte dei cinema d’essai non sarebbe certo la morte del cinema di qualità, né si arriverebbe per forza di cose all’impoverimento culturale poiché le forme di cultura alternativa (qualunque cosa questo aggettivo possa significare, abusato e spesso vuoto di contenuto) troverebbero il loro modo di ritagliarsi un proprio luogo. Le piattaforme streaming, in effetti, sono molto più democratiche e aperte alle piccole produzioni di quanto non si pensi. A dimostrazione di ciò sia il fatto che lo streaming permette di avere prodotti di durata molto più lunga di quanto sia concesso per il grande schermo, oltre a permettere di avere un catalogo tale da fornire gli elementi necessari per una ottima analisi della storia del cinema. Nessuna sala sarebbe in grado di fare ciò, e scagliarsi contro le piattaforme tout court sarebbe (ed è) un atto irresponsabile.

Che le sale cinematografiche debbano morire rispecchia allora qualcosa di differente, una specie di mantra che viene ripetuto ormai da decenni. Il cinema avrebbe rimpiazzato la radio, si pensava, ma questo non è successo. La televisione avrebbe messo fine al cinema, esattamente come il cinema sarebbe morto sotto i colpi del VHS, del DVD e del Blu-Ray. A guardarsi attorno, questa moria non c’è stata e il cinema, di sua natura, continua a esistere, sia come prodotto che come luogo. Qual è, allora, il problema?

I cambi, siano questi tecnologici che culturali, sono parte integrante della specie umana. Vanno quindi affrontati, analizzati, capiti, e a volte è necessario rendersi conto che ciò che è inevitabile comporta o la morte o l’adattamento delle forme (culturali, sociali, vitali) che li precedono. Nel caso delle sale cinematografiche, allora, la questione rimane solo una, una questione che esce dai bordi segnati dai concetti di qualità, di fidelizzazione, di rapporto umano: il pubblico (specie quello giovane) va meno al cinema perché comporta un dispendio di energie e di capitale che può essere facilmente aggirato rivolgendosi alle piattaforme streaming. Una presa di posizione di questo genere ci porterebbe allora ad assumere un punto di vista negativo sul futuro delle sale, ma tale punto di vista sarebbe falsato: se si guardano i botteghini, si scopre che le persone al cinema vanno ancora e che questa industria è ben lontana dall’essere morta. Il cinema come concetto astratto, allora, funziona bene, così come possono funzionare le sale.
Ciò che va capito, allora, è il funzionamento stesso del prodotto cinematografico: se le sale di cinema d’essai vedono ridursi il proprio pubblico questo è perché, rifacendoci a quanto detto prima, i film proposti hanno un richiamo minore, il tutto nel contesto di una serie di problematiche di giocoforza che nascono tra piccoli esercenti e grandi case distributrici. Non è lo streaming a uccidere il cinema, allora, né è lo streaming a segnare la morte delle piccole realtà di sale cinematografiche limitrofi. Siamo davanti a un discorso più complesso, più difficile da analizzare e da esporre chiaramente. Ma è lo stesso discorso che nasce in altri campi della produzione artistica, dove a fronte di concerti e vendite milionarie di artisti musicali mediocri e transienti, il mondo della musica classica si è dovuto arroccare su se stesso per continuare a vivere e a proporre qualità, creandosi una nicchia.

Prevedere cosa possa portarci il futuro non è allora un’impresa semplice. Per quanto a volte sia abbastanza scontato un certo risultato, la presenza di una moltitudine di fattori vari e svariati non permette in questo di avere una sicurezza completa di “cosa succederà”. Molto probabilmente sarà necessario un assestamento tra le piattaforme streaming e i cinema, come anche tra i multisala e i cinema d’essai, ma parlare di morte o di “stato moribondo” in questo momento è un azzardo che potrebbe avere molti più effetti contrari che salutari. Si rimanda allora a un incontro tra alcuni mesi, quando, dopo la parentesi dei cinema all’aperto dell’estate, si sarà ripresa la programmazione (il “come” sarà ovviamente un dato fondamentale) nelle sale al chiuso. Il cinema non muore, comunque, lunga vita al cinema.

Guido Negretti

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