L’arte per noi è il luogo in cui si possono vedere cose che le narrazioni dominanti non mostrano.
La storia libanese è piena di fantasmi, di persone rapite e scomparse, di segreti non svelati.
Come rivelare tali verità? In che questi elementi e storie possono emergere alla luce?
Ciò che ci interessa sono le storie e le immagini latenti.
Joana Hadjithomas e Khalil Joreige
L’esperienza più sorprendente e importante del 39° Torino Film Festival è stata indubbiamente la Personale completa di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, coppia di registi e artisti libanesi che in tutta la loro carriera hanno riflettuto sull’esodo, la guerra e soprattutto la memoria. Sono libanesi ma hanno origini greche e palestinesi, hanno vissuto le tragedie dei loro popoli e si sono trasferiti spesso nella loro vita, pertanto il presente e il passato rientrano sempre nella loro riflessione sul rapporto tra Storia collettiva e storie individuali.
La retrospettiva è stata mirabilmente curata da Massimo Causo (quanto mancano le sue “Onde” al Tff), ha proposto la loro intera opera, compresa l’anteprima italiana dello splendido Memory Box (2021) e ha previsto le visioni dell’esordio di Around the Pink House (1999), A Perfect Day (2005), Khiam 2000-2007 (2008), Je veux voir (2008) e The Lebanese Rocket Society (2012), oltre all’insieme di mediometraggi e cortometraggi sempre girati in bilico tra documentario e finzione, metodo che è parte integrante della loro carriera.
Hadjithomas e Joreige sono al centro della scena internazionale da circa vent’anni, hanno iniziato a collaborare nei primi anni ‘90, spinti dalla necessità di documentare il post-guerra civile in Libano. I due autori hanno sviluppato nel corso del tempo una ricerca volta a rinvenire storie a lungo taciute e documenti d’archivio che hanno trovato forma nei loro film ma anche in progetti fotografici, performance e installazioni che sono state presentate nei più importanti festival di cinema oltre che in esposizioni artistiche e spazi museali. Molti di questi lavori si possono scoprire anche sul loro sito personale.
Il cinema di Hadjithomas e Joreige ci mostra indubbiamente le macerie lasciate dalla storia del Libano, soprattutto a Beirut, vera polveriera che ha visto guerre iniziare e finire senza continuità. I due autori ricercano “le immagini latenti”, come hanno più volte sottolineato nella lunga e interessante masterclass che i due autori hanno tenuto a Torino. Con la loro ricerca si immergono nell’abisso di una memoria sociale segnata da un’amnesia collettiva, cercano immagini fuori dalle narrazioni per far emergere lo spazio fisico e lo spazio ideale del Libano, i loro film sono atti di resistenza della memoria contro l’oblio cui sono destinati luoghi, persone ed eventi. Hadjithomas e Joreige non fanno film che raccontano solamente gli eventi, ma realizzano lavori che riflettono sulle immagini e sulla loro produzione.
I due autori lavorano sia con il documentario che con la finzione, con personaggi reali e fittizi, sia attraverso immagini di guerra che attraverso eventi storici poco noti. Utilizzano tutto quel che possono per sviluppare i temi della memoria storica, anche un loro film perduto in Yemen (lo splendido Lost film del 2003) diventa un mezzo per raccontare un paese e soprattutto il loro rapporto con il cinema.
Anche la materia dell’immagine è un tema importante nel loro lavoro, le stesse copie dei film presenti a Torino erano quasi tutte in 35mm, infatti la coppia libanese gira sempre in pellicola proprio per garantire quella pesantezza dell’immagine necessaria al racconto che vogliono fare. Anche Wonder Beirut, il progetto fotografico portato avanti tra il 1997 e il 2006 si basa sull’immagine che perde consistenza, l’idea infatti si basa su una serie di cartoline della capitale libanese che vengono bruciate, sin nei negativi, man mano che i bombardamenti distruggevano luoghi ed edifici in esse raffigurate. Città che bruciano come Ismyrna, la città turca incendiata dai giovani turchi di Ataturk negli anni ‘20, raccontata nel loro documentario del 2016 che ci mostra l’esodo dei greci dalla Turchia al Libano, in particolare i nonni di Hadjithomas che in quegli anni sono stati costretti a iniziare a viaggiare per ritrovare un posto nel mondo.
Hadjithomas e Joreige ci raccontano ovviamente tutte le criticità della storia libanese, compresa la gentrificazione di Beirut dopo la guerra. Il radicale cambiamento della capitale libanese è costante nella loro filmografia fin dall’esordio lucidissimo Around the Pink House (del 1999) che racconta proprio la ricostruzione degli anni ’90. Nel film vediamo un palazzo rosa deve essere demolito per lasciare posto a un centro commerciale, capiamo come la ripresa economica e i piani di ristrutturazione della città vanno avanti senza tener conto delle famiglie che vivono in quel palazzo, che guarda caso sono dei rifugiati che erano giunti in città dai villaggi vicini durante la guerra.
La stessa Beirut che cerca di cancellare la guerra è presente anche nell’affascinante A Perfect Day (2015), un film dolente su un giovane uomo che attende il ritorno del padre da 15 anni scomparso, un uomo perso dietro una storia d’amore che si dissolve nel traffico di una Beirut fantasmatica. I fantasmi sono evidentemente le migliaia di scomparsi che ha lasciamo l’ennesima guerra di questa martoriata regione.
La guerra ci scorre davanti anche in Je veux voir (2008) che ci mostra il riaccendersi del conflitto libanese addirittura attraverso gli occhi di Catherine Deneuve che accetta di seguire Hadjithomas e Joreige in Libano perché decide di voler vedere con i propri occhi le conseguenze di una guerra che aveva visto solo in tv.
Si può dire che tutti i loro film convergono verso Memory Box che già dal titolo ci fa capire l’importanza della memoria. Si tratta del loro ultimo lavoro (per fortuna distribuito in Italia l’anno prossimo da Movies Inspired) che descrive lo strazio libanese narrandolo dalla doppia distanza di una madre fuggita dal Libano e di sua figlia cresciuta in Canada, costrette a confrontarsi con quel passato che si riversa su di loro attraverso un pacco postale. Memory Box è l’ultimo capitolo dello straordinario percorso della coppia di autori, emergono documenti e dettagli di vita realmente vissuta che vengono ricontestualizzati in un’opera che ci restituisce il trauma vissuto dalla regista e da migliaia di libanesi.
Come in molta della loro opera anche in questo ultimo lavoro vediamo emergere finzione e documentario, ma anche analogico e digitale: tocchiamo la carta vera e propria dei diari che Hadjithomas scriveva durante la guerra in Libano negli anni Ottanta; sentiamo i suoi pensieri nelle cassette che spediva a una sua amica trasferitisi in Francia; vediamo altresì le fotografie di Beirut scattate in quegli anni da Joreige.
Tra l’inizio del loro fare cinema e questo ultimo lavoro ci sono più di vent’anni, Hadjithomas e Joreige riversano in questo lavoro tutta la volontà di creazione di quell’immaginario negato dalla guerra, sempre andando alla ricerca di quella dimensione materica e concreta dell’immagine che deve rappresentare e restituire la sofferenza e il dolore di un popolo, ma allo stesso tempo trasmettere anche la gioia di andare avanti e continuare a scavare nella memoria.
da Torino, Claudio Casazza