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I fratelli Sisters

the-sisters-brothers-2018Trasposizione del romanzo di Patrick deWitt ambientato a metà esatta del secolo diciannovesimo tra Oregon e California, I fratelli Sisters (The Sisters Brothers) segna il debutto americano di Jacques Audiard tre anni dopo Dheepan, Palma d’Oro al 68° Festival di Cannes.
Ispirato dalla storia dei due fratelli Sisters, killer al soldo del Commodore di turno e all’inseguimento di un detective e di un chimico che custodisce una formula per separare l’oro dagli altri minerali, Audriard rivisita il genere western ondeggiando tra commedia dark e poesia trascendentalista. Ci sono le sparatorie, i saloon, bottiglie di whiskey, notti sotto le stelle negli ampi spazi dell’ovest americano (in realtà la Spagna di tanti spaghetti western), soprattutto ci sono la caccia all’oro e i rapporti interpersonali regolati dai dollari. Eppure non sa di obsolescenza I fratelli Sisters, perché si nutre di uno sguardo autoriale che inquadra magnificamente e che taglia piani e campi infischiandosene delle regole codificate da che uomo a cavallo fu ripreso da macchina da presa; e perché intelligentemente Audriard affronta il genere senza condizionamenti, senza la preoccupazione di dover incorrere nei ricorsi storici (non la storia fondativa americana, ma la storia del cinema western), consapevole che il mito e le sue mistificazioni sono già state elaborate ampiamente (Siegel e Eastwood tanto per fissare due nomi). Indiani all’orizzonte nessuno. Non è quella la storia con cui si confronta il regista francese. C’è un chimico però che sembra originario dell’India, interpretato da Riz Ahmed (attore anglo-pakistano noto nel cinema mainstream), e che in quell’altra storia parallela a quella dei massacri, ovvero la ricerca delle vene aurifere, porta elementi magici: una formula chimica che accende stelle dorate nei fiumi bruni di notte che tagliano i goldfields. Acciuffare il chimico che sogna l’oro per fondare una comunità utopica, democratica e liberale (comunista?), è il pretesto narrativo su sisterscui si innesta la vicenda dei fratelli dalla pistola facile con un vissuto luttuoso mai elaborato (un parricidio) e quella sullo sfondo di un detective, col viso dolce di Jake Gyllenhaal, più portato per la penna che per la colt (il suo diario sembra partorito da Henry Thoreau).
Audiard fa correre paralleli i destini dei fratelli sorelle, interpretati magnificamente da Joaquin Phoenix (Charlie) e John C. Reilly (Eli), e della coppia stranamente assortita del chimico e del detective che avrebbe dovuto assicurarlo ai due killer con il compito di estorcere la formula con le buone o con la tortura su mandato del Commodore, presenza invisibile che sul finale scopriremo avere le fattezze cadaveriche di Rutger Hauer. Un doppio binario che prima di convergere lancia altri giochi narrativi costruiti sul doppio, a partire da Eli e Charlie, fratelli che di cognome fanno Sisters e che formano una coppia dove il femminile è espresso palesemente dalla sensibilità di Eli, il maggiore dei due, colui che avrebbe dovuto ammazzare il padre prima di Charlie e che adesso deve proteggerlo da se stesso. Eli si sdoppia anzi nelle figure genitoriali fungendo da padre paziente e da madre accogliente, nonostante le intemperanze di Charlie. Un altro affascinante gioco di sdoppiamento consumato all’interno della coppia, che in certi momenti evocano le parodie di Spencer e Hill (vedi il bellissimo finale), è il rapporto tra azione e parola, laddove la violenza dell’atto spesso contraddice le riflessioni volatili sul senso della vita, sempre innescate dalle intuizioni di Eli. E quando le due coppie si uniscono in un quartetto imperfetto, lo spazio per la dialettica binaria si moltiplica, evidenziando, nel gioco degli opposti, una possibile sintesi che lascia intravvedere un’alternativa alla legge armata su cui la confederazione fonderà alcuni dei suoi principi costitutivi. L’utopia all’orizzonte si staglia fresca come un mondo possibile (siamo nel 1851) naufragato definitivamente solo dopo la vittoria delle oligarchie dell’alta finanza nella prima metà del secolo successivo e la caccia alle streghe che avrebbe spazzato via i rigurgiti marxisti sopravvissuti alla seconda guerra mondiale.


Il film, premiato a Venezia con il Leone d’Argento alla miglior regia, non si lascia sedurre dallo spirito pionieristico/avventuroso abbondantemente cantato in immagini pittoriche, fotografiche e cinematografiche a servizio per più di un secolo di un mito incantevole quanto fuorviante, ma al tempo stesso definisce l’origine di un mondo e della sua morale, coglie sul nascere i malesseri e le contraddizioni della modernità occidentale puntellata sulla frenesia di uno sviluppo inarrestabile (dove predominerà la tecnica) e l’esaltazione degli egoismi personali (dove predominerà la filosofia del self-made-man). Dentifricio e sciacquone stanno già trasformando gli americani, o forse è apparenza che inganna come racconterà la grande letteratura statunitense tra le due guerre.

Alessandro Leone

I fratelli Sisters

Regia: Jacques Audiard. Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain. Fotografia: Benoît Debie. Montaggio: Juliette Welfling. Musiche: Alexandre Desplat. Interpreti: Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed, Rutger Hauer, Carol Kane, Creed Bratton, Duncan Lacroix. Origine: USA/Francia/Romania/Spagna, 2018. Durata: 122′.

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