Atene, Grecia. Le rovine. Anno millenovecentosessantadue. Lui (Viggo Mortensen), lei (Kirsten Dunst), l’altro (Oscar Isaac) si incontrano. Una coppia di ricchi e affascinanti turisti americani, Chester e Colette, un americano in esilio volontario, Rydal, che si guadagna da vivere come guida, senza disdegnare qualche raggiro alla buona a ingenui turisti o turiste, meglio se in vena di avventure amorose. Un mix e un inizio piuttosto tranquillizzante, se non fosse che – come pretende la narrazione di genere – nulla è come appare, e l’arrivo di un quarto uomo, un emissario inviato direttamente dal passato e dai conti che in esso sono rimasti aperti, non li obbligherà a una stretta complicità, a una fuga disperata e inutile che li porterà ad accanirsi gli uni con gli altri, per motivi diversi, prima della resa dei conti finale, dove gli errori commessi non mancheranno di chiedere pegno e riconciliazione.
Questo noir, assolato esordio alla regia per Hossein Amini (sceneggiatore di lungo corso, da ultimo celebre per Drive) sembra volersi confrontare con le regole del genere, quello classico e un po’ stereotipato, senza trovare la giusta cifra né nelle atmosfere, né nella psicologia dei personaggi e nemmeno nell’impianto registico, abbastanza banale e prevedibile, forse anche a causa dell’omonima opera letteraria di Patricia Highsmith, meno memorabile di altre (vedi Il talento di Mr Ripley), che sembra imbrigliare la narrazione e avrebbe forse acquisito valore attraverso una riscrittura più coraggiosa della sua versione per la sala. Echeggiano qua e là reminiscenze di hitchcockiana memoria laddove si è scelto, pericolosamente, di semplificare nella descrizione psicologica e nelle svolte della trama, forse con l’obiettivo di realizzare un prodotto cinematografico di facile accesso per il grande pubblico, per collocarsi nella benevola pancia del cinema di intrattenimento, col risultato di farci conoscere poco i protagonisti, con cui dalla platea non si riesce a entrare in sintonia; di cui vorresti sapere di più, e quello che sai in molti casi non basta a giustificare scelte incomprensibili, o comprensibili solo ammettendo risvolti psicologici troppo elementari. La sensazione alla fine è quella di trovarsi davanti a una storia con diversi spunti interessanti che rimangono fermi alla linea di partenza, come ad esempio, la relazione di Rydal con il defunto padre ingombrante abbandonato in America, che dovrebbe trovare una sua nemesi e sublimazione nel rapporto con Chester, ma come ciò possa avvenire, non è dato comprenderlo.
I costumi, le atmosfere, il colore della luce, la cortesia dell’epoca scelta: tutti i materiali profilmici sembrano volerci portare in un altrove esotico (parrebbe più per gli americani che per gli europei), ma non troppo pericoloso, carico di imprevisti, ma solo potenziali, lontano dalla rassicurante quotidianità domestica (americana) dove i protagonisti sembrano voler disperatamente tornare (o forse no). Ma l’impianto visivo, non affascina, non ha peculiarità che ci portino in una Grecia vera, sentita, che dia credibilità al dramma narrato. Il mondo intorno ai protagonisti è immobile, una natura morta in movimento. E il doppio fondo di bugie e inganni si esaurisce quasi subito, e si attende inutilmente che qualcosa ribalti i termini del confronto, mentre i dissidi interni al triangolo e gli ostacoli che la caccia all’uomo dovrebbe opporre non sono così forti e interessanti da sostenere un meccanismo poco oliato che rimane bloccato a metà, accennando qualcosa, senza riuscire a portarlo a segno.
Massimo Donati
I due volti di gennaio
Sceneggiatura e regia: Hossein Amini. Fotografia: Marcel Zyskind. Montaggio: Nicolas Chaudeurge. Interpreti: Viggo Mortensen, Oscar Isaac, Kirsten Dunst. Origine: Usa, 2014. Durata: 96′.